Le parole rimaste - Edit

4. Antonio Gian Giuricin
Un altro cantore di Rovigno, cui il sintagma laudator temporis acti si attaglia
perfettamente, è Antonio Gian Giuricin (Rovigno 1923-1997).
Più che di Rovigno si potrebbe dire che fu l’aedo della sua contrada,
Monto [Monte], in versi brevi, semplici e sinceri. Come in questa poesiola intitolata
Nel cor del mondo [Nel cuore del mondo]:
A Monto
cu ‘l sul insaca
sil e mar s’insenbra
cu i culuri da fogo indurà
e quil biliteîsimo sinario de la natoûra
sui fa rastà
feîn ch’el doûra
nel cor del mondo 995.
Tutta la lirica di Antonio Giuricin reitera questi topoi (cielo, mare, sole, tramonti),
facendo di Monte non solo il cor ma anche il “centro di gravità permanente”
di un piccolo mondo scomparso, idealizzato come un insostituibile,
chiassosissimo eden umano, confortato da una natura amica e impareggiabile.
A questi, man mano che l’età aumenta e la disillusione da strisciante diventa
pervasiva, si aggiungono e spesso si sostituiscono quelli dell’impossibilità di
accettare i cambiamenti, il nuovo trionfante che avanza, perché troppo snaturante
e grossolano. E allora l’autore si immedesima nel “viecio pascadoûr” di
Nenbadoûre che «sa ga sa dumanda chi tenpo ca faruò / el staruò feîsso vidi
el mar ∫uta panser / sensa vier∫i boûca, / almentro da punento veîa / ven soûn
oûna nenbadoûra / ca fà pagoûra» [«se gli si chiede che tempo farà / guarderà
fissando pensieroso il mare / senza aprir bocca, / mentre da ponente / avanza
995 Monto [Monte]: «A Monte / quando il sole tramonta / cielo e mare si mescolano / con i colori
di fuoco dorato / e quel bellissimo scenario della natura / soli fa rimanere / fi n che dura / nel
cuore del mondo».
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