Le parole rimaste - Edit

Gianna Dallemulle Ausenak
qualsiasi pescata veniva bene. Bastava però una bora un po’ più vigorosa per
far “dindolar” la barca e impedire alla sua mano non più ferma di innescare la
lenza. Più sconsolata e più concisa ancora Co’ndavo.... [Quando andavo...]. Vi
rievoca le estati trascorse a fare il bagno a Saccorgiana vecchia, con un’amica,
quando ancora non ci veniva nessuno e nel silenzio, mangiando pane e frittata
sul molo sgretolato, si poteva udire che «le schile sbronbolava. Poco gnente se
parlava, / l’aria rota solo de un can / che ghe baiava a una liserta stanca. / Ma
se sognava 1178.»
In un’unica lirica la Dallemulle, suo malgrado agnostica ma desiderosa di divino,
sfiora il tema della fede (Se ti son [Se ci sei]), dimostrando che il dialetto
può benissimo piegarsi a temi solenni come questo, anche quando il tono è,
come qui, fra il riverente e lo scanzonato. Ecco la conclusione: «go paura / che
se Ti son, noi no valemo gnente / se no’ Ti son, semo povera gente / sola / in
t’un deserto e al caso abandonada 1179.»
Il disincanto, di cui all’inizio, attraversa tutta la lirica della Dallemule, pur se
rattenuto o stemperato dagli affetti (Co la mia Dada ridi [Quando la mia Dada
ride] – 1982) o dall’istinto di conservazione (Mia vita –2003). Disincanto che si
fa aperto pessimismo al cospetto della sorte dei suoi connazionali in Come iosse
de aqua [Come gocce d’acqua]: «Ierimo in tanti /e vara,’desso, / le ultime vose /
se distuda» – dice la poetessa, e constata: «Se sentimo finir / semo onbre che /
nissun distingui in tela via. // La xe ‘ndada cussì / E cussì sia 1180.»
Fortemente allusiva, quasi metempirica, Una gola de piera [Una gola di pietra]
(2001), che poniamo in chiusura, poiché è una delle liriche più originali e mature.
E che una volta di più conferma che l’uso del dialetto non preclude l’elaborazione
di motivi gnomici o filosofici, quando l’ispirazione sia autentica. Allo
scorrere eufonico dei versi, qui solo due volte spezzettati dagli enjambement che
altrove, anzi quasi dappertutto, sono uno dei tratti distintivi della Dallemulle,
giova la ripetizione anaforica di parole e suoni.
Chissa se le vose che la piera ga trategnù
le se sburta al suo bordo urlando l’inpotensa dela libertà negada
in nome del travaso nel fermo e nel eterno e
chissa se anche oci e orece l’intervento ga inpresonà in forma foresta
come che xe oni altra roba diferente de quela che l’esistensa ne ga abituà.
1178 Da Co’ndavo.... [Quando andavo...]: «...le squille facevano bollicine. / Si parlava poco o niente, /
l’aria rotta soltanto da un cane / che abbaiava a una lucertola stanca. / Ma si sognava».
1179 Da Se ti son [Se ci sei]: «... ho paura / che se ci sei noi non vagliamo niente / se non ci sei siamo
povera gente / sola / in un deserto e abbandonata al caso».
1180 Da Come iosse de aqua [Come gocce d’acqua]: «Eravamo in tanti / e guarda, adesso, / le ultime
voci / si spengono. // Ci sentiamo fi nire / siamo ombre che / nessuno distingue nella via. // E
andata così / e così sia».
695