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Le parole rimaste - Edit

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Mario Schiavato<br />

Anche il microcosmo fiumano con i suoi cittadini di lingua italiana compare<br />

sullo scenario di un libro di racconti di Schiavato All’ombra della torre 637: sullo<br />

sfondo di una precisa topografia si snoda l’itinerario dell’autore che, con la sua<br />

coscienza critica fa rivivere le tormentate vicende della sua epoca attraverso il<br />

filtro di un’adesione affettiva ai luoghi e alle figure della propria esperienza biografica.<br />

Anche con questa raccolta di racconti egli si è riconfermato come una<br />

delle voci più significative del gruppo minoritario italiano. Con essa si riallaccia,<br />

ancora una volta, a un tipo di narrativa realistica, ma anche psicologica e corale<br />

(i suoi racconti costituiscono un suggestivo affresco della città di Fiume e<br />

dei cittadini fiumani di lingua italiana, vissuti nell’epoca drammatica del secondo<br />

conflitto mondiale, ma anche del dopoguerra, fino ad oggi) e si esprime con<br />

uno stile asciutto, sobrio, con un ritmo agile ed estrema semplicità (il linguaggio<br />

è colloquiale, discorsivo, affettivo; frequenti sono le inserzioni plurilinguistiche<br />

che testimoniano l’importanza e la preponderanza dell’oralità sulla scrittura).<br />

Ancora una volta egli fissa sulla carta, registrandolo quale fenomeno sociale,<br />

tutto il materiale linguistico che di solito rimane inespresso.<br />

Quelli di Schiavato sono ricordi agrodolci: tra vie, piazze e rioni di Fiume<br />

(Belvedere, Lukovici, Pulac, Monte Grappa, il Giardino Pubblico, Calle Canapini,<br />

le case Romsa, il rione Cantrida) si evolvono le vicende narrate dall’autore<br />

che, con i suoi toni introspettivi ed evocativi, oltre che realistici, avverte anche lo<br />

spaesamento esistenziale, l’assenza di certezze, di chi, senza credere ad ideologie<br />

esaltanti, ha subìto la cruda realtà del dopoguerra, sotto l’urto e la violenza della<br />

storia. Un mondo quasi verghiano – ha notato Simonovich nella sua recensione<br />

nella rivista «Panorama» 638: gli umili protagonisti – dei quali Schiavato ha colto<br />

le sofferenze nascoste e la dolente quotidianità – non possono opporsi al fluire<br />

tragico della storia che spesso li travolge. La fine della Seconda guerra mondiale,<br />

l’8 settembre e il “ribalton”, come i fiumani definiscono il passaggio dell’Istria e di<br />

Fiume alla Jugoslavia, il comunismo e l’epoca di Tito, la lotta alla reakcija da parte<br />

dei drusi, i tragici dilemmi se restare o partire per l’Italia, le famiglie spezzate,<br />

il nuovo potere e le nuove <strong>parole</strong> d’ordine, le città vuotate dopo l’esodo, i paesi<br />

abbandonati, appaiono sullo sfondo di queste microstorie: Schiavato però non<br />

insiste troppo, non calca mai la mano, lascia parlare la tragicità dei fatti.<br />

Soprattutto negli ultimi racconti del volume appaiono la solitudine, l’alienazione<br />

e lo spaesamento di chi ha perso ogni certezza; c’è poi l’impossibilità di<br />

adattamento dei contadini costretti a inurbarsi tra i casermoni di Fiume in seguito<br />

all’industrializzazione del dopoguerra. Interessante, tra queste vicende di<br />

solitudine, il racconto La maniglia lucida: si tratta della lucida follia dell’ottantacinquenne<br />

protagonista che si ostina a lucidare la maniglia della porta esterna<br />

637 All’ombra della torre, Fiume-Rijeka, <strong>Edit</strong>, 2003.<br />

638 MARIO SIMONOVICH, «Panorama» n. 8/2003.<br />

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