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Le parole rimaste - Edit

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Antonio Gian Giuricin<br />

Deliziosi gli aneddoti, parecchi dei quali ambientati nel microcosmo particolare<br />

delle osterie, dove si andava per stare in compagnia, bere un bicchiere di<br />

vino, giocare a carte e qualche volta si litigava pure, ma ci scappavano al massimo<br />

<strong>parole</strong> grosse e qualche spintone. “Ma mai – annota il Giuricin – a ∫i stadi<br />

duparadi curtai o altre arme” 1001. Nelle osterie però ci si recava soprattutto per<br />

cantare o per ascoltare coloro che eseguivano le “arie da nuoto”, cioè le arie di<br />

notte o bitinade, antichi canti a tre voci da eseguire sottovoce a mo’ di serenata<br />

sotto i balconi delle innamorate. E siccome non esistevano spartiti ma le canzoni<br />

venivano trasmesse di padre in figlio, dai vecchi ai giovani, c’erano diverse<br />

‘scuole di pensiero’, fra di loro ai ferri corti, “parchì ugnidoûn cradiva da cantale<br />

pioûn gioûsto e pioûn biel” 1002.<br />

fi no a toccar per terra e dichiarava di essere il padrone del mondo].<br />

1001 [Ma mai sono stati usati coltelli o altre armi].<br />

1002 [Perché ognuno era convinto di cantarle nella maniera pià giusta e più bella].<br />

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