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Le parole rimaste - Edit

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Alessandro Damiani<br />

In questi versi l’autore addita lucidamente (e a ragione) dove va cercato il<br />

punto di partenza della ‘decodificazione’ della raffigurazione classicista del<br />

mondo: nello Sturm und Drang, ch’è stato il preludio al romanticismo dal quale<br />

poi – al culmine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento – ha preso<br />

spunto l’espressionismo che a sua volta ha spianato la strada alle avanguardie.<br />

L’interesse artistico di Damiani è invece razionalmente (e in ugual modo emotivamente)<br />

rivolto a chi non ha ‘spezzettato’ la visione del mondo, corredandola<br />

nelle sfasature dell’irrazionalità. Damiani si orienta con coinvolgente sollecitudine<br />

verso chi ha assunto a modello gli insegnamenti classici. Ai modi – ad<br />

esempio – del prediletto Giacomo <strong>Le</strong>opardi, ma che in molti altri componimenti<br />

è identificabile all’istante, inequivocabilmente. Come accade nella lirica Quel<br />

verseggiare colto e sonoro 760.<br />

L’indagine fino ad ora condotta su cosa per Damiani l’arte non è, ha fornito<br />

più di una mezza risposta su cosa l’arte sia per lui effettivamente. Tuttavia<br />

quest’indagine non ha ancora procurato una piena definizione sull’autentico<br />

credo artistico del letterato fiumano. A questa definizione si arriva leggendo<br />

la prima strofa del XVII epicedio 761, in cui il poeta finalmente esplicita e rende<br />

limpidi i suoi fondamenti artistici che stanno nel «vincolo etereo / tra l’urgenza<br />

dei suoni / e la chiarezza riflessa dell’idea». Come dire: stanno nell’architettura<br />

formalistico-musicale del verso coniugata all’intelligibilità del messaggio<br />

astante:<br />

Io che amo la musica se stringe<br />

il verso con ritmo asciutto,<br />

chiedo ai segni non formose<br />

metafore ma un vincolo etereo<br />

tra l’urgenza dei suoni<br />

e la chiarezza rifl essa dell’idea<br />

760 Ivi nel v. 4 Damiani riporta gli «ameni inganni» del canto leopardiano <strong>Le</strong> ricordanze:<br />

O speranze, speranze; ameni inganni<br />

della mia prima età! sempre, parlando,<br />

ritorno a voi; che per andar di tempo,<br />

per variar d’affetti e di pensieri,<br />

obliarvi non so.<br />

E se quegli inganni rievocati con tanta nostalgia dal ricordo della consumata giovinezza non<br />

valsero al recanatese ad attenuare il dolore di una vita consumata nel segno dell’abbandono (e<br />

se degli eroici furori del neoplatonico Giordano Bruno, citati subito dopo nello stesso verso, resta<br />

soltanto «un fascino archeologico / segnato dal tempo»), questi versi esercitano pur sempre sul<br />

poeta calabro-fi umano una seduzione irrinunciabile – per non dire impareggiabile – e impermutabile<br />

con le riformatrici esplorazioni (specie formalistiche) degli «spiriti bizzarri, votatisi / allo<br />

Sturm und Drang» di tutti i periodi storici, di tutti i periodi letterari.<br />

761 Della silloge Satire ed epicedi del 1982.<br />

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