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Le parole rimaste - Edit

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Mario Schiavato<br />

Tragiche vicissitudini, fuga, esodo: ecco le prime tappe del dramma degli<br />

istriani ‘andati’, costretti a fuggire da un mondo in cui non si poteva più essere<br />

se stessi, e poi il “vuoto”, lo straniamento, l’“ovattamento” – come lo definiva<br />

Fulvio Tomizza – la consapevolezza dello spaesamento; e poi, ancora, altre angosce,<br />

altre battaglie, concrete, legate alla pura e semplice sopravvivenza, in località<br />

spesso ostili, lontane dalla propria; ma per Lorenzo ci sarà anche il ritorno<br />

alla terra natale, un ritorno sofferto, vissuto sull’onda di drammatici ricordi,<br />

motivato dalla promessa fatta al nonno morente ma soprattutto dal desiderio di<br />

recuperare il significato e la dignità della vita stessa. Andarsene ha voluto significare<br />

per gli esuli “strappare fili e collegamenti, affidare a venti sconosciuti la<br />

fragilità della propria vela, sentir crollare la propria struttura psichica e ricominciare<br />

daccapo coi fili di altri dialetti e di altre sensibilità” 635. Con queste pagine<br />

Schiavato dimostra di essere uno degli interpreti più sensibili e acuti dei problemi<br />

legati alla diaspora e di saper delineare una storia-parabola dell’umanità di<br />

tutti i tempi, una storia di carattere universale. Una cruda registrazione dei fatti<br />

salda, in quest’opera narrativa, interessante per taglio e montaggio, la storia ufficiale<br />

e privata, il presente e il passato.<br />

Un doloroso esilio, quello di Lorenzo, una dolorosa rinuncia alla propria<br />

casa in Merceria, a quella del nonno sui Casteleri, al suo piccolo mondo dell’infanzia,<br />

favolosa e perduta tra i ricordi dei lachi, dei leimidi, delle casite, dell’oliveto<br />

del nonno con i suoi settantasette vulii, del cimitero con la tomba di nona Lusieta,<br />

dei sapori e degli odori del suo paese natìo. Impossibile per lui prendere<br />

atto della perdita irreparabile, elaborare il lutto dell’abbandono. Il ricordo della<br />

terra d’Istria è per Lorenzo qualcosa di troppo intensamente sofferto, mentre<br />

percorre le tappe di un viaggio-calvario, frastagliato e difficile, che si snoda<br />

tra campi profughi e città italiane come Trieste, Udine, Barletta, Laterina, Prato,<br />

poco disposte ad una sincera accoglienza. Promiscuità, pagliericci, caserme,<br />

sporcizia, baracche piantate nel fango, poco lavoro malpagato caratterizzano i<br />

vari contesti ambientali in cui è costretto a vivere con l’amato nonno e la famiglia,<br />

ambienti che lasciano tracce incancellabili nella formazione della sua personalità,<br />

anche se la tenacia e lo studio accanito gli permetteranno di raggiungere<br />

l’affermazione professionale. E poi l’insopprimibile, costante, dolorosa,<br />

nostalgica memoria di un’età della vita in cui volti, colori e immagini si imprimono<br />

per sempre nel carattere e nella mente e, infine, il tanto desiderato ritorno,<br />

dopo il pensionamento, alla terra dell’infanzia: ma la Dignano di un tempo<br />

e la sua cultura, i suoi odori, i suoi sapori, la sua fisionomia storica non esistono<br />

più, se non nelle profondità dei sentimenti e delle memorie private. Luoghi<br />

e persone sono a stento riconoscibili: la cittadina veneziana, con le sue strade,<br />

le sue case, i suoi palazzi consunti dal tempo appare assediata, trasfigurata, tra-<br />

635 NELIDA MILANI, “Un rientro... “... cit. p. 39.<br />

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