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Le parole rimaste - Edit

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Introduzione<br />

mira a una nuova espressione linguistica in quanto meticciato lessicale e sintassi<br />

mentale dovuti alle diverse provenienze culturali.<br />

Sul piano dei rapporti diplomatici fra Italia e Jugoslavia, i disaccordi culminarono<br />

nella prima metà degli anni Settanta, durante e dopo le negoziazioni degli<br />

Accordi di Osimo e in concomitanza con l’irrigidimento del fervore nazionalistico<br />

croato. A farne le spese furono, per primi, gli italiani. C’è la destituzione<br />

di Antonio Borme, presidente dell’Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume<br />

(UIIF) e ci sono altre forme di oppressione meno palpabili ma che contribuiscono<br />

ad incrementare il numero di coloro che Dostoevskij chiamava gli umiliati<br />

e gli offesi.<br />

Ma ormai il concorso “Istria Nobilissima” aveva convinto gli autori a fare<br />

libero uso degli apparati letterari per dissentire nei confronti degli esponenti<br />

che operavano ancor sempre alla luce dell’estetica del socialismo reale. Quindi,<br />

il confronto fra anciens e modernes si fa più accentuato. Adelia Biasiol, Arnalda<br />

Bulva, Lucio Lubiana, Marino Maurel, Loredana Bogliun esprimono poetiche<br />

più spintamente soggettivistiche, di introspezione. In prosa, numerosi<br />

sono i racconti di Schiavato, di Sequi, di Ramous, di Martini, di Scotti. Racconti<br />

ne scrivono anche Zappia, Milinovich, Paliaga, Forlani, Pellizzer, <strong>Le</strong>ttis,<br />

ecc. Sono per lo più ricordi della guerra e del dopoguerra. Prosa di vera rottura<br />

è quella di Ezio Giuricin in Condanna all’inesistenza, in cui un personaggio,<br />

senza volto e senza nome, vive tra le pareti di un manicomio un’inesistenza<br />

atemporale e aspaziale.<br />

Una storia della letteratura della comunità italiana non può prescindere dalla<br />

storia del Dramma Italiano di Fiume, che nasce nel 1946, diretto da Osvaldo<br />

Ramous, oggi sezione del Teatro Nazionale Croato “Ivan Zajc” di Fiume. Sono<br />

essenzialmente due i motivi che legano le vicende del Dramma Italiano alla vita<br />

dei connazionali, della sua letteratura, ma soprattutto del suo idioma. Nell’immediato<br />

dopoguerra tutto il teatro in generale rappresentava l’unica forma di<br />

spettacolo dal vivo. Aveva il compito di agglomerare le masse, di acculturarle, di<br />

offrire un passatempo in grado di risollevare lo spirito della gente. Per il Dramma<br />

Italiano, dalle caratteristiche “anomale”, il compito era ancora più oneroso:<br />

doveva offrire spettacoli in lingua italiana in una fase in cui, causa le vicissitudini<br />

storiche, bisognava fare il possibile per mantenere viva la parlata. Un secondo<br />

compito affidato alla compagnia era quello di stimolare la creatività degli intellettuali<br />

in ambito teatrale. Dalle prime stagioni fino ai giorni nostri nei cartelloni<br />

vengono inseriti testi di autori nostrani, primo fra tutti Piero Rismondo, al quale<br />

si associano Mario Schiavato, Bruno Petrali ed Elvia Nacinovich con il loro<br />

teatro per ragazzi, Osvaldo Ramous, Alessandro Damiani (destinato piuttosto<br />

alla lettura che alla rappresentazione, eccezion fatta per Album di famiglia), Laura<br />

Marchig e Giuseppe Rota (con il suo teatro popolare). Sono drammaturghi che<br />

hanno tentato nella loro scrittura la tridimensionalità del teatro, la sua fisicità, la<br />

sua materialità, ma anche la sua poesia, alternando alla cultura “alta” la tradizio-<br />

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