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Le parole rimaste - Edit

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516<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

Il dialetto è vivo all’interno del gruppo, con scarsa forza d’espansiane fuori dal<br />

gruppo. Anzi, di fuori, è minacciato, è in fase di recessione e il cattivo contatto<br />

con la lingua esterna porta alla “pidginizzazione” per interferenza. L’istroveneto<br />

costituisce una ricchezza psicologica e sociologica insostituibile, un bene di<br />

consumo personale e comunitario, un ambito di identificazione e di individuazione,<br />

specchio del profondo dell’anima collettiva perché, lungi dall’essere solo<br />

strumento per l’affermazione della propria differenza e originalità etnolinguistica,<br />

rivela il passato della penisola e le sue multiformi vicende culturali e storiche<br />

insieme con i prodotti della cultura materiale, con le opere artistiche, col complesso<br />

degli usi e costumi, delle credenze, delle feste e delle manifestazioni folcloriche.<br />

È testimonianza preziosa di storia civile e culturale, intriso dell’intelligenza<br />

e della fatica, del sapere intellettuale e delle esperienze culturali dei suoi<br />

parlanti 866 ed è pertanto paragonabile alle cellule che portano in sé il codice genetico,<br />

responsabile della trasmissione e dello sviluppo della specie.<br />

Oggi, nel primo decennio del secolo XXI, il veneziano o istroveneto si parla,<br />

secondo una locuzione molto invalsa nell’uso, “a macchia di leopardo”, dove<br />

le macchie sono sempre più minuscole e fra loro più isolate. Ambedue i dialetti<br />

sopravvivono in una situazione di decontestualizzazione linguistica, tale che<br />

– in estrema sintesi – si può affermare che se il veneziano ha tuttavia un dominio,<br />

per quanto smangiato, sia orale che scritto, l’istrioto – fatta salva qualche<br />

eccezione – ha ormai un impiego prevalentemente letterario. Sta di fatto che i<br />

pochi istriotofoni o sono anziani o abbandonano sempre più spesso la parlata<br />

natia per assumere quella istroveneta e/o la lingua e/o il dialetto croati, rispettivamente<br />

sloveni. Senza dire che il repertorio dialettale romanzo è sottoposto a<br />

una marciante e sovente trionfante slavizzazione. Nel suo imprescindibile studio<br />

sulla situazione linguistica della comunità nazionale italiana, Nelida Milani<br />

Kruljac ne spiega lucidamente le cause e le conseguenze, delineando un copione<br />

in cui la precarietà linguistica e sociolinguistica della comunità italiana sembra<br />

preannunciare una resa pressoché incondizionata 867, sebbene, a onore del vero,<br />

la studiosa apra un pertugio alla resistenza tirando in ballo il fattore “imprevedibilità”,<br />

l’eventuale insorgere cioè di “contro-tendenze”, dove a giocare un “ruolo<br />

enorme” potrebbe essere l’aspetto economico, in particolare riferito alla città<br />

di Trieste e all’influsso linguistico triestino sull’Istria 868. O – si potrebbe aggiungere<br />

– un futuro nell’Unione Europea.<br />

Né va qui dimenticato, in riferimento all’uso delle parlate neolatine, che per<br />

un non trascurabile numero di italiani dell’Istria (pensiamo a quelli del Montonese,<br />

dell’alto Buiese, del Fasanese, dell’Albonese) il dialetto materno è stato<br />

866 Cfr. TULLIO DE MAURO – MAURO LODI, Lingua e dialetti, Roma, <strong>Edit</strong>ori Riuniti, 1986, pp. 3-4.<br />

867 NELIDA MILANI KRULJAC, Situazione linguistica... cit., p. 248.<br />

868 Ivi, p. 249.

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