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Le parole rimaste - Edit

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12<br />

Premessa<br />

Una siffatta considerazione non nasce soltanto da ragioni d’indole sentimentale,<br />

ma deriva pure dagli atteggiamenti assunti da quella metodologia letteraria<br />

che si è fatta attenta ai particolari percorsi che le letterature hanno compiuto e<br />

compiono nelle diverse regioni, non di rado anche espresse da popolazioni e comunità,<br />

talora in una lingua differente da quella parlata. La modernità, via via che<br />

dispiega il ventaglio delle sue rappresentazioni, mostra quanto fluttuanti siano le<br />

identità delle letterature nazionali. La tradizionale immagine di una letteratura nazionale,<br />

desanctisianamente vista come un sistema unitario e coeso, è stata riconsiderata<br />

dopo la pubblicazione del saggio di Carlo Dionisotti intitolato Geografia e<br />

storia della letteratura italiana (1967) che ha spiegato come l’attività letteraria possa<br />

e debba essere vista in relazione allo spazio e al tempo, alla storia e alla geografia,<br />

“alle condizioni che nello spazio e nel tempo stringono ed esaltano la vita degli<br />

uomini”. In un paese come l’Italia diventato Stato unitario da poco più di cent’anni,<br />

ogni regione geografica conserva, in termini linguistici e letterari, le peculiarità<br />

e le differenze legate alle diverse situazioni storiche, alle dominazioni straniere<br />

che si sono susseguite nel corso dei secoli e all’impronta lasciata dai sistemi economici<br />

che vigevano in ciascuna delle entità statuali della penisola. Non è difficile<br />

individuare, anche nella letteratura italiana del Novecento, una corrente lombarda<br />

o distinguere nell’ermetismo una marca di matrice chiaramente fiorentina, che, a<br />

livello stilistico, affonda le proprie radici addirittura nello stilnovismo e nella poesia<br />

rinascimentale. <strong>Le</strong> esperienze di scrittura fuori dall’Italia, trasmigrando tra lingue<br />

e culture diverse, hanno messo sotto accusa le rigide centralità e hanno imposto<br />

alla tradizionale geografia della letteratura di ripensare l’idea stessa di confine<br />

geografico. O almeno di ripensare la storia letteraria in una relazione – aperta e<br />

mobile – tra una singola area geografica e il gioco delle tradizioni, delle fonti, delle<br />

presenze, delle rispondenze che altrove rinviano e altrove hanno radice.<br />

Se si accetta l’esistenza di una letteratura friulana, siciliana, campana e via dicendo<br />

– sicché oggigiorno si potrebbero stilare tanti profili storico-letterari quante<br />

sono le regioni d’Italia – si deve accettare che esista pure una letteratura istriana<br />

e fiumana di lingua italiana che sta acquistando sempre più un proprio spazio<br />

In uno di questi convegni, svoltosi ad Abbazia il 9 aprile del 1982, Damiani si chiese come mai<br />

“uno storico così puntuale qual [era] Giuliano Manacorda”, nella sua Storia della letteratura italiana<br />

contemporanea (1945-1975) (Roma, <strong>Edit</strong>ori Riuniti, 1975) avesse ignorato in toto la “novità letteraria<br />

istriana”. La aveva ignorata probabilmente per scrupolo fi lologico-giuridico, in quanto l’Istria<br />

non faceva più parte dello Stato italiano e quindi gli storici della letteratura italiana evitavano di<br />

occuparsi della letteratura di “espressione italiana” fuori dei confi ni dell’Italia. L’intervento di<br />

Alessandro Damiani, insieme agli altri, fu pubblicato nel fascicolo monografi co di «La Battana»,<br />

n. 69/1983, con il titolo “Tradizione e innovazione nella cultura del gruppo nazionale italiano<br />

dell’Istria e di Fiume. Materiali di un convegno”, pp. 5-75. La storiografi a letteraria tende a<br />

trattare tali fenomeni servendosi di un criterio spaziale basato sull’idea del ‘territorio nazionale<br />

omogeneo’; cfr. a proposito le osservazioni di JOSÉ LAMBERT, L’internationalisation et la question de<br />

l’espace dans les littératures contemporaines, in AA.VV., “Gli spazi della diversità”, pp. 57-59.

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