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Le parole rimaste - Edit

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9. Romina Floris<br />

Il tratto che accomuna la poesia di Lidia Delton e Romina Floris è l’uso di<br />

un dialetto letterariamente vergine, che concede l’immersione in un humus<br />

arcaico per dare voce ad un mondo contadino del quieto abitare che,<br />

travolto dall’incalzare della civiltà industriale, volge al suo inevitabile tramonto.<br />

Per le due poetesse l’uso del dialetto rappresenta non solo un’opportunità sociologica,<br />

ma soprattutto esistenziale: la sua verginità intatta invita a una discesa<br />

nel regno sotterraneo dai signifi cati autentici e non inquinati. In tal senso esse<br />

rivelano il tratto regressivo di molti poeti dialettali che si collocano spesso in<br />

una posizione decentrata rispetto al linguaggio ordinario, e il privilegio che essi<br />

riconoscono alla poesia consiste appunto in questa potenzialità di spostamento:<br />

l’uso di un linguaggio non corrotto è concepito come un’opportunità di senso e<br />

di verità, di autenticità, è un gesto di autoesclusione in un altrove la cui sopravvivenza,<br />

non solo linguistica, è giunta in una fase terminale, irreversibile.<br />

Il dialetto della Floris è l’istrioto nella variante vallese, un idioma che riesce<br />

a confrontarsi con la trasformazione antropologica, conoscitiva e percettiva dei<br />

nostri tempi. Espressione di un topos ancora riconoscibile perché non ha subito<br />

del tutto le conseguenze dell’attuale processo d’omologazione fisica dei luoghi,<br />

l’antico idioma è la lingua che permette il confronto con le cose, con la loro<br />

consistenza materica senza staccarsi da immediati riferimenti spaziali dell’Unwelt<br />

circostante. Dialetto allora come radicamento e localismo allo stato puro, come<br />

paradigma di un’esperienza linguistica e culturale assolutamente circoscritta e irrelata<br />

e capace, più della lingua standard, di risvegliare e trasmettere sensazioni<br />

forti con il suo straordinario potere evocativo, di aprire spiragli magici sull’essenza<br />

nascosta delle cose, di penetrare e risuscitare quel “nodo ultimo” dell’esistenza<br />

che nessuno può sradicare da dentro i dignanesi, i rovignesi e i vallesi.<br />

Ma dialetto anche come strumento di trasmissione della ricchezza terminologica<br />

rispetto a piante, animali, strumenti di lavoro, oggetti nella quale si riflette un<br />

rapporto con l’ambiente e la natura non fatto di contemplazione estetica, frutto<br />

già di una distanza, di una separazione, ma di tipo concreto, ergologico, con<br />

puntuale e minuziosa nomenclatura di tutto ciò che rientra nella sfera di interessi<br />

e relazioni di un piccolo mondo agreste.<br />

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