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Le parole rimaste - Edit

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Eros Sequi<br />

a tornare paralizzati dai fondali dell’Egeo. Nessun nuovo mondo per i pescatori<br />

di Kalymnos, nessuna nuova società per i partigiani. Solo carestie e disparità<br />

economiche. Il sogno si è fatto incubo e l’autore vuole liberarsene mediante la<br />

letteratura. Quest’ultima non coincide più con la vita, ma rimane, nel racconto<br />

della realtà degli umili, una forma di riscatto, che non può però incidere in alcun<br />

modo sulla società. L’intellettuale Sequi non ha più alcun ruolo. Può solo<br />

ricordare 332 rifugiandosi in una scrittura espressa nell’anarchia dei generi letterari,<br />

nell’assenza di un principio-guida narrativo e di un progetto unificante. Gli<br />

ultimi quattro capitoli del romanzo ritornano infatti al frammento, alla prosa<br />

d’arte, alla narrazione onirica. Il frammento era la forma prediletta dagli autori<br />

che facevano capo alla rivista fiorentina la «Voce», perché adatta al clima problematico<br />

degli inizi del Novecento e alla crisi culturale pregna di perturbamenti<br />

e incertezze. L’intellettuale non sapeva dove collocarsi: aveva perduto la propria<br />

organicità e il proprio ruolo, poteva raccontare il mondo soltanto in maniera<br />

frammentata, cambiando il punto di vista della narrazione che si presentava episodica<br />

e relativa, senza possibilità di assumere la coerenza e la compattezza del<br />

romanzo ottocentesco. Così nelle Case di Pothia si passa dalla narrazione in terza<br />

persona, oggettiva, a quella del ricordo in prima persona, soggettivo. Negli ultimi<br />

capitoli la trama si perde completamente, viene anche meno la divisione fra<br />

uomini e no, i personaggi negativi non hanno un volto preciso, gli umili sembrano<br />

affossati per sempre nelle loro sofferenze: alcuna salvezza, alcun liberatore.<br />

Nella Jugoslavia del dopoguerra non era forse accaduto qualcosa di simile 333?<br />

Nel 1977 è la volta di Mudre izreke 334 [Sagge sentenze], romanzo alquanto<br />

autobiografico, il cui protagonista, un giovane professore, si cela qua e là per<br />

mezzo della finzione letteraria. Usando il monologo interiore si narrano momenti<br />

cruciali della vita del giovane: l’affermazione nella vita professionale e<br />

sentimentale, la memoria di un’infanzia felice, la presa di coscienza del momento<br />

storico e l’abbandono degli agi borghesi per unirsi ai partigiani. Da<br />

dove il titolo? Dal fatto che lo scrittore condisce di ironia e di autoironia proverbi,<br />

detti popolari, sentenze, giochi di <strong>parole</strong> per riscattare il suo eroe dai<br />

momenti di debolezza e di incertezza. Abbondano, inoltre, i richiami culturali<br />

che ci riportano agli studi umanistici dell’autore, a Cicerone, a Seneca, a Ovidio,<br />

a Petrarca, all’Ariosto, ecc.<br />

Nell’ultima sua fatica narrativa, Chiaroscuri, un libro stampato a Novi Sad 335,<br />

Sequi, oltre a tracciare una sorta di testamento spirituale e di testimonianza<br />

332 Cfr. CHRISTIAN ECCHER, op. cit. p. 52.<br />

333 Ivi, p. 53.<br />

334 EROS SEQUI, Mudre izreke, Nolit, Beograd, 1976, tradotto dall’italiano da Ivan Klajn. Anche Susreti<br />

s Istrom [Incontri con l’Istria], soltanto nella versione croata, Čakavski Sabor, Pula, 1989.<br />

335 EROS SEQUI, Chiaroscuri, Novi Sad, 1991.<br />

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