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Le parole rimaste - Edit

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Una voce fuori dal coro: Osvaldo Ramous<br />

tomissione totale del primo termine al secondo o nell’annullamento dell’io” 414.<br />

Ma pur non sottovalutando le corrispondenze del poeta fiumano con i “mostri<br />

sacri” della letteratura (la qual cosa farebbe retrocedere fino a Poliziano e addirittura<br />

ad Orazio), la miglior cosa è collocare Ramous in una posizione che dal<br />

decadentismo dannunziano e pascoliano porta, sfiorando parzialmente i crepuscolari<br />

415, all’ermetismo, al quale Ramous si accosta per la sua ricerca di modernità<br />

che prende a modello i simbolisti francesi, per l’essenzialità espressiva che<br />

detrae alla scrittura le incombenze propriamente comunicative e demanda alla<br />

stessa le caratteristiche evocative delle <strong>parole</strong>, e per le esperienze del surrealismo<br />

e dell’esistenzialismo. Ad avvicinarlo all’ermetismo è anche la consapevolezza<br />

della crisi di valori e di certezze che ha interessato tutto il Novecento e ha<br />

lasciato l’individuo fragile e smarrito di fronte alla Storia e al proprio destino.<br />

D’altra parte, Ramous si discosta nettamente dall’ermetismo perché, contrariamente<br />

a quello che fanno gli ermetici, non usa la poesia come valvola di sfogo<br />

sentimentale o come diserzione dalla realtà (per cui la sua essenzialità lirica<br />

non si può definire “pura”, a prescindere dal linguaggio rarefatto), bensì la carica<br />

e l’incarica di una missione intellettuale, conoscitiva e ragionativa che ha a<br />

che fare (a partire dalla raccolta Vento sullo stagno e particolarmente dalla raccolta<br />

Pianto vegetale) con la realtà storica. Ramous non si chiude nella torre d’avorio del<br />

disimpegno ermetico, perché lui dalla Storia – cui l’uomo e l’io sono sottomessi<br />

– non fugge, quantunque nelle sue opere poetiche non la esibisca esplicitamente,<br />

ma piuttosto per tramite del dispositivo letterario-retorico dell’analogia.<br />

Vicina a molte esperienze di autori novecenteschi tanto da carpirne umori,<br />

motivi, lessico, la poesia di Ramous trova una via indipendente nella sensibilità<br />

con cui raccoglie le più inspiegabili sensazioni: “Non un contemplativo nel<br />

senso mistico della parola, né un osservatore di significato scientifico, ma piuttosto<br />

l’interprete di un linguaggio che ogni giorno parla a pochi eletti che sanno<br />

capire” 416. Damiani coglie la sostanza della poetica di Ramous nella sua capacità<br />

di assorbire gli umori, di cogliere e di secernere le istanze letterarie dei suoi<br />

predecessori e dei suoi contemporanei, ma senza accordarsi a nessuno di loro,<br />

perché a conti fatti esprime lo spirito di tutti 417. Pertanto anche gli accostamen-<br />

414 CHRISTIAN ECCHER, La letteratura... cit., p. 108.<br />

415 MANLIO GIUDICE, “Liriche di Osvaldo Ramous”, «Liguria», Genova, ottobre-novembre 1940.<br />

Trova nella raccolta Nel canneto corrispondenze crepuscolari: “Ai crepuscolari talvolta il Ramous<br />

si riaccosta per una certa tristezza e malinconia, che si riscontra in diverse sue liriche: però essa<br />

non fa corpo con l’amore delle cose minute, delle cose povere e quotidiane, né con un senso<br />

“decadente” di inutilità della vita, né si travasa nelle forme espressive (ritmiche, tonali, ecc.) che<br />

inconfondibilmente distinguono i crepuscolari e i loro epigoni”.<br />

416 CAMILLO PULCINI, “La poesia di Osvaldo Ramous”, «Liguria», Genova, settembre 1939, XVII.<br />

417 Cfr. ALESSANDRO DAMIANI, “Poesia tersa come acqua sorgiva”, in «La Voce del Popolo», Fiume,<br />

5 marzo 1981, p. 5.<br />

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