07.06.2013 Views

Le parole rimaste - Edit

Le parole rimaste - Edit

Le parole rimaste - Edit

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

712<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

pulsione tematica e creativa, e attorno ad essa tutti gli altri temi e motivi ruotano<br />

o vi rimandano. E tuttavia questi stessi poeti fanno “oggettivazione della<br />

realtà”, testimoniano la differenza cui appartengono non in quanto poeti ma<br />

in quanto parte di una comunità, della quale sono in un certo senso il tessuto<br />

connettivo: ne custodiscono e tramandano l’alterità antropologica, la diversità<br />

umana, il patrimonio memoriale, l’inconscio collettivo. Ricostruiscono lo “spirito<br />

del tempo” (Geistergescheichte), di un tempo, poco più di mezzo secolo, in cui<br />

la piccola comunità dei rimasti si è andata consumando e affievolendo. Citiamo<br />

ancora Brevini: “Il senso più profondo della lirica neodialettale consiste nel rivendicare<br />

l’indissolubilità di una storia e della lingua che l’ha accompagnata, della<br />

parola che si vive e di quella che si scrive” 1192.<br />

Per noi il dialetto, o meglio la poesia in dialetto, conservano ormai una funzione<br />

meramente vitale (servono a dare un senso a chi li pratica) e non più una<br />

funzione naturale (non riescono certamente a conservare la “specie”, cioè la comunità).<br />

Di conseguenza il dialetto, l’istro-veneto e l’istrioto dell’Istro-quarnerino,<br />

sono sempre di più un codice personale soggettivo, un aristocratico idioletto<br />

(qualche volta socioletto), insieme licenza poetica e documento.<br />

Mallarmé diceva – schizzinosamente – che per fare poesia fosse necessario<br />

“sottrarre il linguaggio all’uso che ne fa la tribù”. Ma erano altri tempi. Qui<br />

(Istro-quarnerino del XXI sec.) siamo all’imperativo contrario: bisogna usare il<br />

linguaggio della ‘tribù’ per fare poesia, ma anche per salvare sia il linguaggio che<br />

la tribù-comunità. O almeno per salvare l’anima a quanto rimane della ‘tribù’.<br />

1192 FRANCO BREVINI, <strong>Le</strong> <strong>parole</strong> perdute... cit., p.32.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!