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Le parole rimaste - Edit

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146<br />

Capitolo II | Gli anni postbellici (1945-1950)<br />

Rachele Ballarin, nei pressi di Gallesano, Veggian sottolinea la decisione degli<br />

anziani di trasferirsi in città e cedere la terra e gli attrezzi alla cooperativa agricola<br />

di Gallesano.<br />

Pur entro queste non indifferenti e non poche limitazioni, gli articoli variano<br />

quanto i giornalisti stessi. Variano il modo e il momento in cui si scrive, come<br />

pure gli interessi e gli obiettivi descritti 238. E davvero i reportage di volta in volta<br />

assumono aspetti diversi. Quelli che si basano piuttosto sulla memoria hanno<br />

maggiore familiarità con il racconto, mentre altri, che si distinguono per l’ottica<br />

e l’obiettivo del loro interesse particolare e che tendenzialmente tengono conto<br />

della descrizione delle popolazioni e dei costumi, oppure focalizzano preferibilmente<br />

il paesaggio dei posti visitati, si avvicinano, di volta in volta alla cronaca,<br />

all’aneddotica, alla statistica, al saggio ecc.<br />

Due sono le forme più frequenti di reportage nel quotidiano: quella dedicata<br />

a costumi, usi e folclore dell’Istria e quella incentrata sulle popolazioni e sui<br />

luoghi piuttosto distanti (sia in senso spaziale, sia in senso culturale) dalla regione<br />

istro-quarnerina. In quest’ultimo caso si può verificare un maggior interesse<br />

verso panorami serbi e bosniaci. Si presume che l’attrattiva esercitata dai luoghi<br />

dove le differenze dalla cultura italiana erano notevoli sia stata forte. Ne escono<br />

servizi giornalistici “godibili” non solo dal punto di vista letterario ma pure<br />

storico, politico, critico e sociale. Uno spazio notevole viene riservato al colore,<br />

al pittoresco, ma non manca l’interesse per i piccoli particolari quotidiani, inquinati<br />

spesso da intrusioni ideologiche. È rilevante a tal proposito il reportage intitolato<br />

“Sul minareto di Hussein Beg brilla una stella senza mezzaluna” 239. Vecchio<br />

e nuovo, tradizione e innovazione coabitano nell’articolo su Plevlja 240, in<br />

cui si tende, nel commento, a valutare positivamente piuttosto il nuovo modo<br />

di affrontare la realtà:<br />

Immobile, muta e imponente la moschea di “Hussein Beg” che da secoli giace<br />

qui, sempre uguale e permanentemente avvolta di un manto di mistero come<br />

monito alla “nullità” della vita terrena ed all’“eternità” di quella d’oltretomba.<br />

Ed il nuovo edificio della Casa di Cultura è sbucato sulla piazza con la forza indistruggibile<br />

del progresso penetrato anche a Plevlje. (...) Sotto i tetti bassi delle<br />

case, nelle calli, nella quiete delle abitazioni, fermenta qualcosa di grande, bolle<br />

nei cuori degli uomini e si fa strada verso la luce del giorno. Che sarà?<br />

238 Cfr. ENRICO FALQUI, Giornalismo e letteratura, Mursia, Milano, 1969, p. 244. L’autore illustra la<br />

grande varietà del giornalista-osservatore-viaggiatore. Alcuni lavorano sul vivo, altri sulla memoria,<br />

chi da fermo e chi camminando. Chi bada più agli uomini e chi ai luoghi. Soprattutto, più che<br />

voler far “vedere” si tende al voler far “capire”, perché oggi a far vedere provvedono mezzi più<br />

veloci e sicuri e più completi.<br />

239 «La Voce del Popolo», 10 giugno 1951, p. 3.<br />

240 Cittadina tra il Sangiaccato e il Montenegro.

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