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Le parole rimaste - Edit

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Alessandro Damiani<br />

personale e quella disincantata ruotante attorno agli scoraggianti risvolti della<br />

sfera sociale ad aver temporaneamente indotto il poeta a cercare un rifugio nell’Arte.<br />

Eppure il poeta, abituato a far largo uso di richiami letterari – sia dell’antichità<br />

sia dell’epoca moderna – vuole sottolineare a chiare lettere la sua sensibile<br />

vicinanza ‘idealistica’ al vate ottocentesco. Così facendo da un lato esprime –<br />

parimenti a <strong>Le</strong>opardi – l’intimo bisogno di qualcosa in cui credere, e simmetricamente<br />

esterna la personalissima ripulsa davanti allo sfacelo e alla caterva di orrori<br />

prodotti dal Secolo ventesimo, a causa dei quali «le <strong>parole</strong> / spirando in un<br />

caos di suoni / non sono già ora prive di senso?». Ora è diventato chiaro che le<br />

ricognizioni retrospettive nell’opera leopardiana non sono cagionate da una carica<br />

puramente ‘rituale’, di devozione apoteosica nei confronti del poeta recanatese.<br />

Damiani piuttosto sente di potersi appropriare e di potersi proiettare nel<br />

messaggio leopardiano con il quale condivide molti aspetti.<br />

Per quanto riguarda il resto, la primaria finalità degli Idilli rimane – seguendo<br />

la via tracciata dagli Epicedi – soggettiva: rimane cioè quella di estrinsecare gli<br />

intimi stati d’animo sopraggiunti all’infelice scoperchiamento dei drammi umani<br />

subentrati alla perdita del senso delle cose. Questa primaria finalità è circoscritta,<br />

vissuta e calata negli Idilli dall’attento equilibrio degli elementi sintattici a<br />

contatto con i contenuti spirituali, tramandati dallo stabile ritmo meditativo dei<br />

versi governati dalla preponderanza degli endecasillabi.<br />

L’epilogo fatalista<br />

Se nella prima fase poetica, quella anteriore alle sillogi degli anni Ottanta, la<br />

poesia per Damiani poteva essere, ed era, persino un mezzo con cui vivere in<br />

modo costruttivo lo svolgersi del concreto sociale, nella seconda fase, invece,<br />

succede ripetutamente che la poesia diventa, come per <strong>Le</strong>opardi, anche uno<br />

strumento consolatorio che serve ad ammortizzare le delusioni personali. Ma<br />

questa nuova situazione non è destinata a durare a lungo poiché posteriormente<br />

alla raccolta Idilli ed epigrammi il poeta rinuncia alle illusioni vitali.<br />

La questione del ‘leopardismo’ in Damiani si presenta molto più complessa<br />

di quanto si possa ricavare dal solo X idillio. A giudicare da alcuni indizi, infatti,<br />

è possibile attestare che in effetti il poeta non è mai stato, a differenza di <strong>Le</strong>opardi,<br />

interamente preso dalle consolatorie illusioni. Pure nella VI satira l’arte è<br />

l’unico elemento consolatorio, in opposizione a «certi discorsi: di patria / e famiglia<br />

i beni supremi, di Dio / (...) / di valori misconosciuti, economie / in crisi».<br />

Ciononostante, l’arte da sola non basta ad appagare Damiani, ed essa stessa<br />

sembra che per un momento – quando il poeta nella medesima satira esclama<br />

«Che noia!» – sia posta nello stesso calderone di quei «certi discorsi», e dunque<br />

pare che venga inaspettatamente demistificata. E così sarebbe se il poeta non<br />

situasse le sue poesie («questi fogli non / troppo sgraditi a rari lettori») fra quei<br />

punti fermi da lui deliberati come le «poche certezze» – che hanno, peraltro, le<br />

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