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Le parole rimaste - Edit

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32<br />

Nelida Milani Kruljac<br />

ne spettacolare dialettale e regionalistica 22. Il Dramma si è sempre mosso e continua<br />

a muoversi su due fronti contemporaneamente, diventando il punto d’incontro<br />

e la sintesi di due culture e di due modi differenti di fare teatro. Ancora<br />

oggi continua questa pratica che assicura innanzitutto un buon livello qualitativo<br />

dello spettacolo, maggiore attenzione da parte della critica e un prodotto più<br />

completo da presentare al pubblico.<br />

Un discorso a parte lo meritano i poeti dialettali. Attraverso il testo poetico, il<br />

dialetto si scava numerosi collegamenti sia con i retropiani emotivi e pulsionali<br />

di specie psichica, sia con i piani comunicativi di valore più propriamente sociale<br />

e linguistico. Il dialetto è capace, cioè, di valorizzare le sensazioni più profonde,<br />

i dati meno consci, così come è in grado di sostenere un discorso che da prevalentemente<br />

lirico o gnomico si fa anche narrativo, coinvolge una certa parte<br />

di storia e soddisfa l’esigenza del recupero della memoria comunitaria. Il dialetto<br />

vive così in equilibrio tra realtà e poesia, è realistico e simbolico-metaforico<br />

insieme, fusione di primitivo e di moderno, semplice e problematico.<br />

Per quanto riguarda il dialetto istroveneto, esso ha fruttato in abbondanza<br />

opere di tipo memorialistico e folkloristico. Il poeta più genuino nel genere è<br />

Stefano Stell di Pola che scrive con passione macchiettista, descrive personaggi<br />

e situazioni che immerge in precisi spazi topografici cittadini, carichi di significati<br />

simbolici per gli autoctoni. Egli scrive “come gli passa per la testa”, con<br />

schiettezza e ironia, divertendosi e divertendo. Pure in Ester Barlessi il dialetto<br />

equivale all’identità tramandata dagli avi, all’identità di sé e dei suoi simili. Da<br />

qui proviene la sua accalorata difesa, il “tentar de meter do <strong>parole</strong> insieme”: dalla<br />

coscienza che dalla sopravvivenza del dialetto dipendono il rispetto degli altri<br />

e, non da ultimo, l’autorispetto. D’altronde il passato – siamo ciò e chi eravamo<br />

– è il punto di riferimento imprescindibile, la linea sottile e discriminante<br />

che l’altro non potrà mai varcare e fare sua. Venci Krizmanich adopera il medesimo<br />

dialetto polesano come una vera e propria lingua poetica, elaborata, essenzializzata<br />

fino a diventare il suo “idioletto”. Giusto Curto è il primo a risentire<br />

l’attrazione fatale dell’antico istrioto, portatore di saggezza popolare, che<br />

lui distilla in versi aforistici e sentenziosi. Con esso estrae dall’oblio la Rovigno<br />

e il suo ceto popolano dell’anteguerra, sepolti sotto il rapporto etnografico cittadino<br />

rivoluzionato nel periodo postbellico e i successivi boom livellatori del<br />

turismo di massa e dell’industria. Per cui i personaggi e le situazioni tipici della<br />

poesia di Curto precorrono i processi sociali in atto, mentre le loro relazioni<br />

con l’attualità sono sempre di natura polemica. Autentica maestria del ritrarre<br />

con efficaci punte di spleen, dalle prime poesie dialettali in istroromanzo in poi, è<br />

quella di Lidia Delton. Il suo “viaggio poetico all’indietro” conduce in un mondo<br />

paesano rassicurante, quello di Dignano e della sua campagna, contraddi-<br />

22 Testi teatrali sono stati scritti da Carla Rotta e Silvio Forza, premiati a “Istria Nobilissima”, ma<br />

non rappresentati.

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