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Le parole rimaste - Edit

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558<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

esser Santo» riconosciuto dalla Chiesa che, in questo modo, lo ha messo a tacere<br />

appropriandosi del suo messaggio umano e religioso, non convenientemente<br />

incline alle brame del potere ecclesiastico. Un messaggio che è stato standardizzato<br />

e annientato, sterilizzato e ammutolito non appena è stato “recintato” dai<br />

paletti dogmatici. Meglio, dunque, tenersi equidistante dagli altari innalzati dalla<br />

Chiesa di Cristo e dagli altari innalzati dalla Chiesa di Marx 950. Soppesando però<br />

l’impostazione cristiana e l’impostazione comunista del suo itinerario poetico,<br />

non è azzardato dire che egli è cattolico e comunista nello stesso tempo, proprio<br />

in virtù del fatto che sia del cattolicesimo e sia del comunismo ripudia, con<br />

analoga forza e convinzione, le (de)legittimazioni istituzionali.<br />

È già stato constatato l’uso differenziato e variabile che il poeta fa dei lemmisimbolo.<br />

Ciò avviene pure con il lemma-simbolo albero nelle liriche Il sei agosto<br />

e Il quattro maggio. Gli alberi nominati non sono la stessa pianta. Nel Sei agosto<br />

l’albero rappresenta la comunità italiana di Rovigno, nel Quattro maggio, invece,<br />

gli alberi sono due: il primo, l’«albero contorto», simboleggia la Jugoslavia, il secondo<br />

è la croce del Calvario su cui Cristo è stato crocifisso. È, quest’ultimo,<br />

l’albero dell’attesa e della speranza: chi gli si avvicina ha assicurata la vita eterna.<br />

Ed è, nel contempo, l’albero «conficcato in terra senza amore» 951, sennonché in<br />

parallela opposizione all’albero del Vecchio Testamento. All’albero, cioè, su cui<br />

era appeso il frutto proibito che Eva ha colto, tentata dal serpente.<br />

La speranza di Zanini<br />

L’eversività zaniniana consiste nella grazia avuta di «poter mostrare le corna: /<br />

al prepotente ponte di comando / e ai suoi ruffiani, / che sanno soltanto tenere<br />

la matita in mano» 952, consiste nello spregiudicato sfogo immaginativo, misto<br />

all’appartato ardore di evadere, con i fatti e con le <strong>parole</strong>, dall’omologazione nel<br />

«popolo pecorone» al Potere. Consiste nella separazione, nella rinuncia, nel distacco<br />

dalle cose futili della vita, «per, poi, in punto di morte / non dover mordermi<br />

l’animo / per il tanto che dovrei lasciare» 953. È pure nel pensiero poetico<br />

(espresso con gli affinati e suadenti strumenti dell’arte) che ha il peso, alla fin<br />

950 Nella poesia Matìme ‘un griebano [Mettetemi un grébano] della silloge Sulla secca della Morte Secunda<br />

Zanini chiede che sulla sua tomba non venga posto “neanche uno dei due distintivi” («gnanche<br />

óun dei due distintéivi») delle due Chiese (la croce cristiana o la stella rossa dei comunisti), ma<br />

venga posto «un grébano / della bianca Carbonera, a San Giovanni, / ove sono vissuto con il<br />

gabbiano Filippo» («‘un griebano / de la bianca Carbuniera, a San Zuane, / ula i ‘è vivìsto cul cucal<br />

Filéipo»). “Grébano” è un antico vocabolo della parlata veneta che designa un sasso corroso<br />

dall’azione millenaria degli agenti atmosferici.<br />

951 È stato l’odio umano a condannare a morte l’inviato divino.<br />

952 Dalla lirica Na mancà e na vansà [Né mancato né avanzato] della silloge Con la prora al vento.<br />

953 Ibid.

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