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Le parole rimaste - Edit

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86<br />

Capitolo II | Gli anni postbellici (1945-1950)<br />

Piccola biblioteca di cultura in lingua italiana. In diversi testi pubblicati all’epoca<br />

sul quotidiano «La Voce del Popolo» manifestò un’insopprimibile inclinazione<br />

letteraria, in primo luogo per la narrativa come in Una casetta in mezzo al prato,<br />

Dolcissima Ungheria d’autunno, Ricordi di un giornalista. Pubblicò poi numerosi saggi<br />

su Dante, Manzoni, Svevo e sugli scrittori istriani Pietro Stancovich e Giuseppina<br />

Martinuzzi, recensioni e presentazioni di opere letterarie, traduzioni (<strong>Le</strong> mani<br />

e L’abbraccio di Ranko Marinković, Dundo Maroje di Marin Držić, ecc.). Nato a<br />

Valle d’Istria il 6 marzo 1914, si spense a Pola il 14 febbraio 1989, lasciando fra<br />

le carte una quindicina di poesie inedite scritte in vari periodi, a cominciare dalla<br />

Lotta popolare di liberazione 101. L’esperienza accumulata nella lotta partigiana<br />

da Sequi e Martini, invece, lascerà una profonda impronta su gran parte della<br />

loro successiva creazione narrativa, poetica e saggistica. Una delle opere più<br />

fortunate di Eros Sequi , il diario partigiano Eravamo in tanti 102, fu in gran parte<br />

scritta proprio durante la lotta partigiana. Diversi racconti di Martini apparsi<br />

nell’immediato dopoguerra, tra il 1945 e 1946, sono anch’essi brani di un diario<br />

di guerra, raccontano la guerra partigiana ed esaltano gli ideali etico-politici che<br />

ne costituirono il fondamento. Tutta questa attività letteraria, impegnata e politicizzata,<br />

si inserisce al di fuori della tradizione letteraria italiana istriana dei decenni<br />

precedenti alla guerra, tradizione che a Fiume invece permane senza soluzione<br />

di continuità nel solo poeta Osvaldo Ramous.<br />

I giornali in questione meritano qualche ulteriore annotazione. Segnano<br />

anni di frontiera che scavano un solco, un confine, un fossato invalicabili.<br />

Essi hanno nel mezzo l’apice assoluto dell’insurrezione popolare, che ha significato<br />

la liberazione. Segnano però anche un periodo costellato da atti di<br />

vendetta e da esplosioni di odio, talora feroci, esiti di una discutibile giustizia<br />

molto sommaria, covata nell’orrore e nel terrore. Registrano pure un luttuoso<br />

senso di prostrazione per l’empietà della guerra e del fascismo suo<br />

fautore, che attanagliava gli animi, un voltastomaco, un disagio fisico repulsivo<br />

per la violenza che aveva abbrutito le parti in lotta. Tutto ciò sta letteralmente<br />

conficcato tra le righe dei giornali dell’epoca, anche quando reticenza,<br />

pudore e autocensura non lasciano trasparire più di tanto. Mentre traspare<br />

chiaramente il senso vivo e palpitante delle scelte, attive, libere, individuali<br />

e “morali”, che prepararono quelle generali e collettive tra i due modi, diversi,<br />

lontani, nemici irriducibili di sentirsi italiani in quel periodo tumultuoso.<br />

Due identità discordi e inconciliabili, prima ancora che due universi in lotta.<br />

101 VIKTOR BOŽAC, Domenico Cernecca: un profi lo in Civiltà istriana a cura di NELIDA MILANI, Centro di<br />

Ricerche Storiche di Rovigno, 1998.<br />

102 L’autore, essendo riuscito a ritrovare il manoscritto fra varie carte del tempo di guerra che pareva<br />

fossero scomparse per sempre, lo pubblicò dapprima in traduzione croata (Bilo nas je mnogo, ed.<br />

Zora, Zagreb, 1952) e poi nell’originale italiano a cura della Casa editrice <strong>Edit</strong> di Fiume, nel 1953.

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