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Le parole rimaste - Edit

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Stefano Stell<br />

per mi l’atomica pol andar anca in malora,<br />

perché ghe tegno ale nostre tradission 1140.<br />

<strong>Le</strong> traduzioni in italiano, specialmente della terza lirica, perdono in musicalità<br />

popolareggiante rispetto le versioni originali. Però non è il caso, lo si sarà capito,<br />

di fare un’indagine stilistica della poesia di Stell, definibile come antiletteraria. Si<br />

è voluto semplicemente presentare una realtà poetica di non grandi pretese letterarie<br />

e dal profondo sentore del disfacimento della comunità nazionale, misto<br />

al viscerale attaccamento alla città e/o alla regione.<br />

1140 Citavecia [Cittavecchia]: «Con le viuzze a biscia e così strette, / e con gli olivi che si arrampicano al<br />

Castello / Cittavecchia ci ha messo le manette, / e questo castigo, chi lo direbbe, ci pare bello. //<br />

Con i lampioni accesi là negli angoli / e i balconcini in stile veneziano, / non so se esistono ancora<br />

dei testoni / che non siano fi eri di dire «sono polesano». // Questi clivi e tutte queste viuzze /<br />

parlano chiaro un linguaggio veneziano, / ma le pietre consumate e in cima smussate / dimostrano<br />

che questo luogo era romano. // Cittavecchia non è certamente un complesso / della scienza,<br />

del progresso e del lavor, / ma lì c’è il levà del pane più nutriente / per ricordarci origine, stirpe e<br />

genitor.»<br />

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