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Le parole rimaste - Edit

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Romina Floris<br />

mostra un atteggiamento creativo verso i contenuti tradizionali che traduce in<br />

una serie di motivi poetici originali, con una lirica di chiara ispirazione realista,<br />

semplice e genuina, che si attaglia perfettamente all'autenticità dell'ancestrale<br />

mondo contadino. La solidità dell'io poetico, a diretto contatto con una realtà<br />

e un'evidenza oggettuale che sollecitano una disposizione a rendere esterno lo<br />

sguardo, si manifesta nella capacità di misurarsi con la concretezza e nell'abilità<br />

di mettere in tensione realtà e dimensione psichica. Il soggetto poetico acquisisce<br />

la sua caratterizzazione non da una personalistica individualità, ma nel porsi<br />

in relazione con tutto un ambiente culturale-antropologico. Nei versi della Floris,<br />

densi di sedimentazioni terragne e pregni del paesaggio-santuario, del paesaggio<br />

protetto, del templum vallese e dei suoi personaggi, alle figurazioni della<br />

vita contadina, della fatica quotidiana, della miseria antica, si aggiunge la malinconia<br />

per ciò che scompare, ma anche la speranza che quella civiltà così debole,<br />

fragile e pericolante possa far fronte all’insulto del tempo e al pericolo della<br />

propria cancellazione. È esemplificativa la lirica ‘L contadin [Il contadino], antico<br />

come la sua terra, con il suo destino segnato, di ferma tragicità, che assurge<br />

a favoloso mito arcadico. Con i suoi «doi sameri e 'na cavera / e 'na ca∫a ciuba<br />

/ ola durmì» 1075 possiede tutti i crismi della regalità ed è simbolo della gente<br />

istriana, abituata ad essere piegata dal lavoro e ad accontentarsi di poco, paga<br />

del piacere dell’onestà.<br />

Come si svolge il rapporto uomo-terra? Piano, piano, chi faticosamente la lavora,<br />

scivola in essa, penetra in essa, vi sprofonda, ne viene quasi assorbito. Per<br />

parafrasare Ungaretti, la sconta vivendo. C’è anche un rapporto di amore con la<br />

terra, perché non si può non amare anche la propria prigione e il proprio mondo<br />

di coercizioni.<br />

L’analisi delle sillogi permette di evidenziare un sicuro possesso, da parte della<br />

Floris, dell’apparato formale e degli espedienti poetici che fanno parte della<br />

tradizione lirica. Nella poesia Saso [Sasso] l'asperità del paesaggio pietroso che<br />

contraddistingue Valle, paese che «par scampà da 'na fiabola» [«che sembra uscito<br />

da una fiaba»], fatto di «ca∫e spagurade» [«case spaurite»] e abitato da «∫ento<br />

de cor bon» [«gente di buon cuore»], è riprodotta con l'uso insistito delle sibilanti,<br />

che pongono in evidenza la scabrezza della natura. Nella lirica Migole [Briciole]<br />

l'autrice afferma che «la vita ∫e ‘n gran pan / Vale ∫e ‘na migola» [«la vita è<br />

un grande pane / Valle è una briciola»]. Con la ripetizione nella seconda e terza<br />

strofa dei versi «sta vita / mai finida» [«questa vita / mai finita»], esprime il messaggio<br />

di speranza che la sorregge: la vita, nonostante tutto, non ha mai fine e<br />

si perpetua nel tempo. La Floris spera che anche il minuscolo universo vallese<br />

“s‘infuturi”, con tutto il suo bagaglio di civiltà. Già il nome del piccolo borgo,<br />

che deriva da quella fertile valle di terra rossa che si stende tra i monti bianchi di<br />

1075 «due asini e una capra / ed una casa piccolina / dove dormire»<br />

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