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Le parole rimaste - Edit

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Libero Benussi<br />

caricano d’umori polemici e diventano denuncia di un subire mai accettato.<br />

Nelle raccolte finora prodotte, contrassegnate dall’avvicendamento di forme<br />

strofiche di vasto respiro, giocate sull’alternanza di versi lunghi e versi brevi, e<br />

componimenti più ridotti, Benussi mostra l’ossessiva fedeltà monotematica ad<br />

uno specifico nucleo: la natura, l’ambiente natio e la gente di mare che lo abita.<br />

Per l’intera estensione delle raccolte il poeta elabora un sommesso, delicato e<br />

struggente canto d’amore destinato alla celebrazione di un microcosmo con le<br />

sue amenità e le sue ricchezze.<br />

Componente peculiare della sua lirica è pure la costante centralità dell’Io<br />

poetante. Il dialetto non è pertanto solo strumento per rendere la verità di un<br />

ambiente cantato in tono assorto ed estatico di chi nella sua bellezza naturale<br />

contempla qualcosa d’eterno, ma è anche un efficace mezzo d’espressione soggettiva<br />

e lirica, la sede dell’interiorità più profonda.<br />

Libero Benussi mostra di saper elaborare in maniera autentica e genuina gli<br />

elementi più caratteristici della lirica dialettale rovignese della seconda metà del<br />

Novecento. Nel segno della continuità, fa propri due aspetti di questa poesia,<br />

che sono la spia di una situazione antropologica particolare: il modo di trattare<br />

la natura e il riferimento a nomi geografici locali, il cui uso deriva dalla necessità,<br />

per il poeta, di ancorarsi nel modo più diretto e assoluto alla propria terra, di<br />

ricordarne i luoghi e di evocarli nominandoli. La natura e il rapporto tra l’uomo<br />

e la natura è il tema centrale della poesia rovignese, continuamente ricorrente<br />

nei suoi massimi rappresentanti, e lo è anche in Benussi. Ciò non avviene a caso,<br />

perché a Rovigno la natura fa sfoggio del suo fascino sublime, è un paradiso di<br />

pace, di perfezione quasi inesprimibile, di equilibrio inalterabile, un idillio perenne<br />

che neanche la mano del tempo e dell’uomo riesce a scalfire. Negli esiti<br />

poetici più riusciti c’è l’espressione di un genius loci che, radicato in un luogo edenico,<br />

riassume una precisa modalità di abitare e interpretare il mondo.<br />

L’istrioto, la lingua che per secoli ha garantito un sentimento di coesione e<br />

di durata, s’impone al poeta quasi sorgendo dall’inconscio, per parlare di una<br />

comunità umana in cui egli si riconosce, per il bisogno di salvare un insieme di<br />

valori e tradizioni, e per la consapevolezza che ciascuno ha di essere. La difesa<br />

della lingua, delle tradizioni e dell’ambiente culturale e fisico diventa allora una<br />

questione vitale, di sopravvivenza. In breve, si tratta di recuperare, conservare<br />

e trasmettere non solo un modo di vivere, ma il modo di vivere, unico ed autentico,<br />

irrepetibilmente rovignese.<br />

Tutta l’attività di Benussi, non solo quella poetica, è volta a impedire che<br />

l’antico idioma, che gli s’impone come lingua naturale e nella cui ricchezza<br />

espressiva c’è la storia e la vita di tante generazioni, venga relegato in quel grande<br />

museo dei sogni del passato che chiamiamo storia. Rinunciare alla propria<br />

lingua, descritta splendidamente nei versi della lirica Ca faviela! [Che favella!]<br />

della silloge Aqua da veîta [Acqua di vita], per Benussi equivale alla perdita della<br />

propria anima:<br />

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