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Le parole rimaste - Edit

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586<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

steneva che la qualità della poesia si conferma attraverso le traduzioni, Maroević<br />

rileva che “(…) quello che rimane della poesia della Bogliun dopo tutte le inevitabili<br />

trasposizioni e approssimazioni, quel solido fulcro di vivide immagini e<br />

di elastici passaggi sintattici, è sufficiente a convincerci della sua straordinaria<br />

forza espressiva” 1009.<br />

<strong>Le</strong> mazere, i muriccioli di campagna, con una pietra all’inizio e una alla fine,<br />

dure e malconce, sono il simbolo del paese e della sua gente. Così è la poesia<br />

della Bogliun, piena di consapevolezze e razionale ma anche sognante e fantasiosa.<br />

La poetessa sa che con le vecchie <strong>parole</strong> dialettali parla soltanto per sé,<br />

chiusa nell’asprezza e nella miseria della vita contadina, del paese fatto di ammassi<br />

di pietre povere; ha dovuto ormai imparare «ch’a avarda al sul e la louna<br />

gnente no se ingrouma» 1010, non si illude sull’inesorabilità del tempo, attraversato<br />

dall’affaccendarsi privo di senso della gente. Al tempo stesso raccoglie le<br />

fantasie che scaturiscono da questa terra di pietre, gli incanti che stravolgono e<br />

tramutano la realtà oggettiva. <strong>Le</strong> vecchie <strong>parole</strong> liricizzate si fanno metafore, illuminazioni<br />

barocche, e rischiarano momenti dell’infanzia, di un passato contadino<br />

segnato da miserie e da vestiti rattoppati ma anche da leggende, da fiabe e<br />

giochi, in un rapporto magico con la natura.<br />

La silloge La peicia /La piccola si presenta in un’elegante edizione della Hefti<br />

impreziosita dai disegni di Giorgio Celiberti, e si giova della prefazione di Andrea<br />

Zanzotto e della postfazione di Franco Loi . La pubblicazione è il risultato<br />

di un’iniziativa interessante, che si deve all’intelligente politica editoriale perseguita<br />

dalla casa editrice milanese. Infatti, le liriche in istrioto della Bogliun, corredate<br />

dalla versione della poetessa in lingua italiana, sono tradotte in ciacavo da<br />

Miho Debeljuh, in lingua croata da Tonko Maroević e in lingua slovena da Marko<br />

Kravos. Lo squisito volume testimonia così l’aderenza piena alla complessità<br />

linguistica dell’Istria. Nella prefazione Zanzotto confessa che è raro “(…) incontrare<br />

un’opera così densa e ricca di significati, così esaustiva” 1011 come quella<br />

della Bogliun e, a proposito del dialetto, sottolinea che le sue qualità, le sue<br />

‘risorse’ “(…) non sono sfruttate da Loredana, ma vissute come un’atmosfera,<br />

accolte come un semplice e forte cibo” 1012. Dopo aver riassunto con rara lucidità<br />

la particolare e composita realtà istriana, nella postfazione Franco Loi conclude<br />

che la poesia della Bogliun “è rappresentativa di questa complessità emo-<br />

1009 TONKO MAROEVIĆ, Nota, in Mazere / Gromače / Muri a secco, Book <strong>Edit</strong>ore-Bologna/<strong>Edit</strong>, Fiume/<br />

Durieux-Zagabria, 1993, p. 96.<br />

1010 Da L’anda de le feste bone: [Alla maniera delle feste buone]: «A guardare il sole e la luna niente si raccoglie».<br />

1011 ANDREA ZANZOTTO, Prefazione, in La Peicia/La piccola, Hefti Edizioni, Milano, 1996, p. 9.<br />

1012 Ibid.

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