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Le parole rimaste - Edit

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Umberto Matteoni<br />

le verità che, sparse qua e là, rendono la verità globale del testo. L’abbondanza<br />

di queste risorse espressive, che in altri casi potrebbero sembrare retoriche<br />

ed eccessive, in Matteoni appaiono spontanee, si ordinano in un disegno nitido,<br />

riportano a una personalissima interpretazione lirica della realtà che contraddistingue<br />

la sua poesia. L’intima natura di ogni suo componimento sta tutta<br />

nel segno di uno sforzo, quello di scoprire la forma poetica, il ritmo e le <strong>parole</strong><br />

che meglio si adeguano al respiro intimo e alla purezza del suo animo. In questo<br />

modo la poesia assomiglia al suo autore, tutto preso dalla sua idea, dal suo<br />

motivo, dal suo ritmo interiore: è come “depurata”, tersa e limpida come il suo<br />

animo. Metteoni non percepisce la poesia solo come sentimento della vita, bensì<br />

come la vita stessa, non solo quale espressione dello spirito umano, ma come<br />

lo spirito stesso in riassunto, e la coscienza della propria poesia, così come della<br />

propria vita, gli si manifesta nell’atto poetico in processo. La poesia interagisce<br />

con la vita, non è mai disgiunta da essa: egli vede e sente con gli occhi della poesia,<br />

che arricchisce la sua esistenza. Potremmo definire “onesta” la sua lirica,<br />

dove l’aggettivo sabiano indica fedeltà assoluta alla verità interiore, all’intimo<br />

vero, al discorso infinito e continuo che si apre con se stessi e con l’essenzialità<br />

e l’elementarità della vita colta nelle sue componenti più semplici, negli affetti<br />

più intimi e genuini.<br />

C’è sempre un segreto nella poesia che riguarda naturalmente chi l’ha scritta<br />

e nessun altro. Pur tuttavia è frequente nella lirica l’elaborazione di eventi che<br />

riguardano tutti, perché hanno segnato in modo indelebile la vita non solo del<br />

singolo, ma della collettività. La poesia L’urlo (Pola 1947) ricongiunge la storia<br />

privata del poeta adolescente con la grande cruna d’ago della Seconda guerra<br />

mondiale. La lirica affronta il tema dell’esodo della popolazione italiana dalla<br />

città natale in versi intensi, vibranti della tensione del recupero dell’oro memoriale,<br />

di quella sostanza preziosa che giace in fondo all’anima. Il componimento<br />

mette in luce il bisogno che tutti abbiamo di nutrirci di quella parte del passato<br />

che s’impone per dare un senso al presente. L’autore compie il doloroso lavoro<br />

dello scegliere nella memoria la sua parte più cruda e dolorosa, quella che può<br />

lenire il “frastuono” dei pianti e dei silenzi. Proprio perché ha partecipato alla<br />

vicenda drammatica della sua città e ha condiviso l’angoscia dei suoi concittadini,<br />

con profonda pietas storica nella lirica Matteoni si fa testimone della loro<br />

sventura, senza travisare la tragedia reale e senza lasciarsi travolgere dal sentimento<br />

di rabbia. Lo scopo è impedire che la patina dell’oblio si posi su un momento<br />

doloroso della storia istriana e polesana che ha segnato per sempre la vita<br />

dell’autore adolescente. L’apprendistato alla vita non ha metodo. La parola urlo<br />

percorre tutta la poesia e nella seconda strofa forma un unico verso: l’urlo “disumano”<br />

di dolore, che saliva «dalle piccole cose / strette al petto degli amici» e<br />

«rintonava nel chiostro francescano», è rimasto per sempre chiuso nel cuore del<br />

poeta, che ha perso in un solo momento amicizie ed affetti parentali per rimanere<br />

«solo coi sassi dell’antico» in una città fantasma, mentre «una grave nave<br />

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