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Le parole rimaste - Edit

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534<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

concepita provvidenzialmente dal basso e non soltanto artificiosamente ‘imposta’<br />

dall’alto per vie politiche, ebbene, Zanini in molti altri componimenti poetici<br />

avverte che quella convivenza è per lui e per la sua gente irrimediabilmente<br />

caduta fra l’incudine e il martello dello svolgimento storico che ha investito<br />

l’etnia italiana del territorio, riducendola a minoranza in conseguenza dei noti<br />

sconvolgimenti sofferti dalla comunità, svilita in Slovenia e in Croazia dal punto<br />

di vista numerico durante e dopo la tragedia dell’esodo. Tanto che per essa<br />

il sole «va in sacco» 904.<br />

Insomma: un conto è la convivenza paritetica e proficuamente prodottasi<br />

dal basso tra genti, lingue e culture diverse, tutt’altro conto è la ‘convivenza’ raggiunta<br />

per vie amministrative, quando la componente minoritaria reclama i diritti<br />

come una ragione sacrosanta, mentre la parte maggioritaria li assume come<br />

forzata ragion di Stato, come benevola concessione.<br />

A proposito dell’insistenza zaniniana sull’uso dei toponimi, Sergio Turconi<br />

afferma:<br />

Il dettaglio naturale diventa particolare topografico, saldamente ancorato alla geografia<br />

rovignese. (...) Questa fittissima rete di nomi di luogo, oltre che rivelare<br />

i diversi aspetti e valori stilistici dei toponimi, era anche la spia di una situazione<br />

particolare, era la risposta dell’autore dialettale a un ostinato bisogno di «autoconferma<br />

della propria partecipazione a una vita, a una lingua, a una comunità<br />

che fa perno su quel toponimo», bisogno del tutto comprensibile per circostanze<br />

come quelle di Rovigno, dove l’isolamento etnico, linguistico, culturale, ecc.<br />

è di gran lunga più accentuato e perciò più acuti anche l’istinto e la necessità della<br />

sua gente di riconoscersi, ritrovarsi, nominarsi. (...) La violazione della natura<br />

è anche violazione dell’integrità comunitaria; e non soltanto come profanazione<br />

del territorio, ma anche come simbolo e sintomo di alterazioni ben più dolorose<br />

e decisive dell’equilibrio della vita locale 905 .<br />

Turconi vede bene. La natura è per Zanini il percorso obbligato, rappresenta il<br />

punto di partenza e nello stesso tempo il punto di arrivo dell’intera sua passione<br />

di poeta e di uomo. Il critico letterario Turconi ha in ripetuti frangenti individuato<br />

aspetti e caratteristiche della poesia italiana dell’istro-quarnerino che nessuno<br />

904 Nota scritta da Zanini in calce alla poesia El Sul, par nui, el va in saco [Il sole, per noi, va in sacco]<br />

della silloge Con la prora al vento: il sole va in sacco quando, al tramonto, viene nascosto dalle nubi<br />

di ponente, prima del suo tuffo in mare; di solito, segno di maltempo per i prossimi giorni. Così<br />

recita la prima strofa della lirica in parola: «Par nui, / rastanse de li sóurme ruvignise, / intui<br />

antéichi e caruladi bastimenti / del gran Lion del Prutatur San Marco, / da mieso sieculo el Sul<br />

va in saco» [«Per noi, / ultimi residui delle ciurme rovignesi / negli antichi e cariati bastimenti /<br />

del gran <strong>Le</strong>one del Protettor San Marco, / da mezzo secolo il Sole va in sacco»].<br />

905 SERGIO TURCONI, L’identifi cazione della comunità nella letteratura dialettale rovignese, in «La Battana»<br />

nn.63-64, <strong>Edit</strong>, Fiume, 1982, pp. 69-70.

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