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Le parole rimaste - Edit

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572<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

Oûgni canton la lagrama giusa<br />

davanti i ∫ioghi da meî ba∫adi<br />

oûn baladur sensa incensi<br />

scribicia mamuorie i scalideîni.<br />

El puorton m’inpeîsa el sango<br />

anduve quila murieda sa pardiva<br />

labri da viloûdo mursaghivo<br />

sento ancora el sango inusento.<br />

Sapoûr el livante scureîso<br />

nu trema l’uri∫onte sul punente<br />

i nu puoi insarà quil doûto<br />

i vuoi rastà ancura drento 983.<br />

Nell’ultima strofa il poeta commisura la sua vita alla parabola quotidiana del<br />

sole; per quanto il levante (l’alba dei suoi anni) vada pian pian oscurandosi, a ponente<br />

l’orizzonte è tuttora netto, visibile e all’apparenza raggiungibile, suscitatore<br />

di aspettative, sicché ribadisce che vuole aggrapparvisi, «i vuoi rastà ancura<br />

drento», gustare fino in fondo il sapore della vita. La tropologia del livante e<br />

del punente, riferiti all’alba e al tramonto della vita, ricorrono spesso nella poetica<br />

curtiana. Anche con accenti molto più laceranti nel 1973 con Racuordo [Ricordo],<br />

una serie di dieci distici a rima baciata, percorsa da un lungo brivido erotico<br />

(«li man zbraghiva, par tucate noûda / ti ma sufaghivi da bazi, ciamandome<br />

Gioûda» – «le mani stracciavano per toccarti nuda / tu mi soffocavi di baci<br />

chiamandomi Giuda»), la cui sconsolata conclusione è: «racuordo...racuordo...<br />

ti son tramendo / el meîo sango, pian pian...va murendo (...) / tramonto...masa<br />

amaro» 984. Tuttavia, il distico popolareggiante non rende al meglio l’intensità del<br />

sentire, di quel ricordo inebriante che sconquassa l’animo.<br />

Il ricordo è capace di estrarre dall’oblio la Rovigno e il suo ceto popolano<br />

autoctono dell’anteguerra, sepolti sotto il rapporto etnografico cittadino rivoluzionato<br />

nel periodo postbellico e i successivi boom livellatori del turismo di<br />

massa e dell’industria. Per cui i personaggi e le situazioni tipici della poesia di<br />

983 Nu puoi insarà [Non posso chiudere]: «Calpestando le pietre scheggiate / ogni passo diventa<br />

quadro / meteoriti morte si accendono di vita / come allora, tanto vivo. //Ad ogni angolo una<br />

lacrima scende / davanti i giuochi da me baciati / un ballatoio senza incensi / scrivono memorie<br />

i gradini. // Il portone mi accende il sangue / dove quella ragazza si perdeva / labbra di velluto<br />

mordevo / sento ancora il sangue innocente. // Seppure il levante si oscura / non trema l’orizzonte<br />

a ponente / non posso chiudere quel tutto / voglio restare ancora dentro».<br />

984 Dalla lirica Ricordo: «Ricordo... ricordo... sei tremendo / il mio sangue, a piano a piano... va morendo<br />

(...) / tramonto... troppo amaro».

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