07.06.2013 Views

Le parole rimaste - Edit

Le parole rimaste - Edit

Le parole rimaste - Edit

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

576<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

prima e dopo di lui, che “il più delle volte la ‘materia’ linguistica è meno data<br />

che costruita, comunque sempre interpretata e quindi trasformata da una sorta<br />

di fantasticheria attiva che è insieme azione del linguaggio sull’immaginazione<br />

e dell’immaginazione sul linguaggio” 991. Ebbene, per Curto vale nuovamente<br />

il contrario: in lui la materia linguistica è più data che costruita. Non solo: essa<br />

persino si amalgama e nel contempo mette in evidenza la psicologia e l’elementare<br />

visione del mondo – di tipo tradizionale – di quei pochi rovignesi italiani<br />

non partiti con l’esodo e generalmente appartenenti al ceto contadino e di pescatori,<br />

per i quali l’istrioto è la vera lingua madre. Tanto che per qualcuno, soprattutto<br />

per i più anziani nati verso la fine del XIX o agli inizi del XX secolo,<br />

essa negli anni Sessanta-Settanta e oltre è ancora l’unica che sia pienamente padroneggiata<br />

992. Non è certamente Curto l’eccezione che conferma la regola: le<br />

traduzioni che egli dà alle sue poesie, spesso sono in un italiano incompiuto e<br />

approssimativo, mentre la grafia delle versioni originali in istrioto a volte risulta<br />

indecisa, come ha già sottolineato Turconi: “in Curto ritroviamo l’atteggiamento<br />

istintivo e primordiale dell’artista naïf , poco curante delle norme e incerto<br />

addirittura nella grafia, per il quale il dialetto è veramente l’unico strumento letterario<br />

disponibile” 993.<br />

Curto riesce a emergere da una situazione tutto sommato di limitatezza (usando<br />

esclusivamente il dialetto, per un pubblico ridotto, in un ambiente provinciale),<br />

cantando con spietata e talvolta disperata introspezione, ma anche con<br />

autoironia, un tema universale come quello dell’angustia del tempo che fugge,<br />

dell’ingannevole agognamento della gioventù e del rifiuto dell’aborrita vecchiaia.<br />

<strong>Le</strong> sue poesie non possono figurare fra i lavori letterari artisticamente più validi,<br />

ma nulla si può togliere al loro valore di documento-monumento ineludibile, perché<br />

traducono le esperienze fisiologiche e psichiche essenziali di una comunità<br />

umana (quella rovignese contadina e, sensibilmente meno, dei pescatori) ormai<br />

scomparsa, non tanto per via della sua eseguità numerica, quanto a causa del<br />

dissolversi dei modi di vita rovignesi popolani appartenenti ad un passato non<br />

ancora remoto, oggi interessante dal punto di vista dell’antropologia culturale.<br />

991 Ibid.<br />

992 Se non ci sono i focolari, o un sentiero di campagna, o un asino oppure una lanterna per la pesca<br />

notturna a dare le “coordinate tradizionali”, allora possono subentrare i papaveri ad impersonare<br />

parabolicamente l’antica saggezza popolare, attenta ai valori pratici dell’esistenza: «I bachieri<br />

intrincadi sa spiecia / sun quil taier da bateîcia. / A tiesta basa i speîghi li varda / e poûr, sulo luri<br />

dà el pan» [«I papaveri eretti si specchiano / su quel campo di grano. / A testa china le spighe li<br />

guardano / eppur soltanto loro danno il pane»].<br />

993 Senza andare troppo lontano, prendiamo in considerazione che in Vido i miei cameini il poeta, nel<br />

secondo verso, scrive «dazmantaga» mentre in Li s’ceinche, nel primo verso, scrive lo stesso verbo<br />

con la s al posto della z, cioè «dasmantaga».

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!