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Le parole rimaste - Edit

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Eros Sequi<br />

stra, massimamente al PC, e si rivolgevano a loro come ad una forza politica<br />

in lotta per la conquista del potere, rifiutandosi però di subordinare il loro<br />

operato alle esigenze partitiche, perché in tal modo si sarebbe rischiato di diventare<br />

dei semplici “pifferai della rivoluzione”, privi di una propria coscienza<br />

critica che non necessariamente doveva concorrere con la linea politica del<br />

partito 312. In Jugoslavia, invece, il PCJ aveva praticamente conquistato il potere<br />

durante la Lotta di liberazione dal nazifascismo ed era fortemente motivato<br />

a mantenerlo, con ogni mezzo e ad ogni costo. In una siffatta situazione<br />

l’establishment comunista non solo propugnava una politica culturale di tipo<br />

zdanovista per pura convinzione, ma anche per puro interesse. Non poteva<br />

certamente essere di suo gradimento, soprattutto non in quell’incerto periodo<br />

storico, una qualsiasi voce che fosse indipendente e che dissentisse apertamente<br />

(o che volesse solamente porsi in un teorico dialogo dialettico, pur<br />

senza voler ‘tirare la corda’) dal nuovo potere. Così anche all’etnia italiana, o,<br />

per l’esattezza, a quegli italiani che per un motivo o per un altro decisero o<br />

furono costretti a non spostarsi da casa propria, in quel frangente storico non<br />

rimaneva altro da fare che conformarsi alla nuova realtà.<br />

Eros Sequi, per il quale l’Istria e la Jugoslavia non erano terra natia ma, per libera<br />

scelta, terra d’adozione, da parte sua conclude la premessa al primo numero<br />

di «Arte e lavoro» dichiarando che esso ha il merito “di iniziare la discussione<br />

sul contenuto ideologico della nostra vita culturale, indicando qual è la via da seguire<br />

e migliorare con sforzo intenso e costante” e sostenendo che il volume in<br />

questione può e deve servire “di incentivo a tutti noi italiani, costruttori del socialismo<br />

nella collettività della Jugoslavia di Tito, a portare avanti con maggiore<br />

decisione e con slancio più possente l’opera di costruzione socialista anche nel<br />

campo della nostra cultura”.<br />

L’attività narrativa<br />

Il diario di Sequi Eravamo in tanti 313, uno dei testi più significativi di tutta la<br />

letteratura CNI, è unico nel suo genere perché, essendo stato scritto durante la<br />

lotta partigiana e non emendato successivamente, racchiude in sé una narrazione<br />

non viziata da un punto di vista posteriore, ma incentrata sull’alleanza dei<br />

combattenti che esclude qualsiasi distinzione in classi sociali: ciò che contava<br />

era aver fatto una scelta di campo, lottare con i partigiani.<br />

312 Come ebbe modo di evidenziare Elio Vittorini nella “<strong>Le</strong>ttera a Togliatti”, in cui rimuoveva le<br />

pesanti critiche mossegli dall’uomo di partito nel mensile «Rinascita» n. 10, dell’ottobre 1946, e<br />

ribadiva l’autonomia dell’artista nei rapporti tra politica e cultura.<br />

313 EROS SEQUI, Eravamo in tanti, Zagreb, Zora, 1952. L’opera è apparsa nella traduzione croata ed<br />

è stata successivamente ripubblicata per due volte nell’originale italiano (<strong>Edit</strong>, Fiume, 1953 e<br />

1979). La terza edizione è uscita a Milano nel 2001 per le Edizioni Comedit, collana Balcani.<br />

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