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Le parole rimaste - Edit

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Loredana Bogliun<br />

zionale, di queste stratificazioni etniche e storiche, di questa ampiezza di sentire<br />

e desolata decadenza” 1013.<br />

Nella posfazione alla silloge La peicia / La piccola, Franco Loi osserva che<br />

la poesia di Loredana Bogliun rivela “un amore per la terra e la gente” 1014, un<br />

sentimento sempre più raro e per questo prezioso, maturato in virtù dell’unità<br />

tra vicenda personale e vicenda collettiva dell’Istria e di Dignano. La terra delle<br />

origini, trasposta in domestiche sembianze del reale, è deposito di certezze,<br />

di vincoli ossessivi. È popolata di figure lontane e meno lontane o, addirittura,<br />

occupata dalle adorate figure materne (Me maro moreda [Mia madre bambina],<br />

Me maro, la cioca e i biscoti ruduladi [Mia madre, la chioccia e i biscotti arrotolati],<br />

Tre fimene [Tre donne] e paterna (Me paro la madona [Mio padre la madonna], Me<br />

paro inseina ombre [Mio padre senza ombre], Omo [Uomo]). Con la forza evocativa<br />

e inventiva della poesia l’io frantumato nella realtà quotidiana può di nuovo<br />

incontrare la madre più giovane tra le piante e i profumi del giardino. I ricordi<br />

diventano più piacevoli di ciò che si è vissuto: «cui oci ch’a reido soin de nuvo<br />

peicia / cameini par Dignan zogando am-salam / inseina tucà la reiga / ancura<br />

pioun brava de preima» 1015. Ed è lì, nella terra, in quell’Istria dove tutto «∫i fato<br />

de pasienza anteica» [«è fatto di pazienza antica»] che la Bogliun si ritrova a cercare,<br />

a chiedere, soprattutto a vedere e a sentire, sminuzzando ogni dettaglio,<br />

ogni circostanza dal passato al presente, con effetti che la poesia dialettale istroquarnerina<br />

prima non conosceva. È nello scenario dignanese che la poetessa<br />

raccoglie l’orfico richiamo delle piante, degli animali, mischiato a tutti i sordi rumori<br />

della terra, ai fruscii, ai silenzi, al tumulto delle passioni.<br />

Il radicamento al paese d’origine va al di là delle circostanze biografiche in<br />

senso stretto. Nella lirica Al gambero cui fiurdaleizi [Il gambero coi fiordalisi] Dignano<br />

è il punto d'osservazione ideale, è lo specchio di lacerazioni e travagli,<br />

ma anche luogo della felicità dell'infanzia. Quando l'invenzione e il sogno prevalgono<br />

sulla logica, ormai vinta la paura «da diventà oun gambero imbarlà /<br />

bon sulo de fase ciavà» [«di diventare un gambero strampalato / buono soltanto<br />

a farsi ingannare»], il paese non soltanto appare come terra di memorie ma<br />

assume contorni fantastici e misteriosi, è aereo come in un quadro di Chagall.<br />

La gente di Dignano toccherà la luna, il nonno morto ritorna in punta di piedi e<br />

diviene l'anima del paese. Tra sogni e disinganni la poesia si chiude su una desolata<br />

“casa del monte”, in rovina e invasa dal vento, estremo simbolo dell'Istria,<br />

luogo di fatiche e di sogni, ultima immagine di una coscienza lacerata ma aperta<br />

alle fantasticherie poetiche. Perché nonostante il degrado del paese natio, che è<br />

1013 FRANCO LOI, Postfazione, in La Peicia / La piccola, p. 75.<br />

1014 Ivi, p. 76.<br />

1015 Da Am-salam: «Con gli occhi che ridono sono nuovamente piccola / cammino per Dignano<br />

giocando am-salam / senza toccare riga / ancora più brava di prima».<br />

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