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Le parole rimaste - Edit

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604<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

della sua poesia è dare dignità letteraria e nobiltà al suo volgare e, di conseguenza,<br />

anche a coloro che lo parlano, a quei «boumbari» 1043 che «zi cumo la leilera, /<br />

tacai a sti grumasi / e a sti vedurni» [«sono come l'edera / attaccati a queste pietraie<br />

/ ed a questi maggesi»]. Attraverso il dolce suono della favella materna che<br />

permea di sé tutta la poesia, la Delton si accosta amorevolmente alla sua gente,<br />

ne interpreta l'umore, l'attaccamento alla terra, il rispetto per il lavoro da tramandare<br />

ai «nevudi», ai nipoti, il desiderio di una vita vissuta a contatto con le cose<br />

essenziali. In uno scenario oscillante tra vita e morte, il dialetto è lingua ideale<br />

con cui raccontare la semplice esistenza del borgo natio, che si svolge tutta tra «la<br />

ciza, / al campaneil, / al simiterio, / i peini, / le mazire» [«la chiesa / il campanile<br />

/ il cimitero, / i pini / i muretti»], nello spazio/sacrario della cucina rustica, regno<br />

indiscusso delle donne, della corte, delle calli animate specialmente nelle sere<br />

estive, dei portici, delle stalle, grandi ventri accoglienti dove i muri di pietra sudano<br />

dell'alito delle bestie e degli esseri umani e dove «al ledan» [«il letame»] fuma<br />

«zuta i anemai» [ «sotto gli animali»]. In queste liriche si coglie la disposizione più<br />

netta della Delton, quella di ritrarre con rapide pennellate il piccolo mondo rurale<br />

che la circonda. L'autrice ci pone così di fronte ad un espressionistico «quadrito<br />

boumbaro» [«quadretto bumbaro»] con «doute le robe al so posto» [«tutte le cose<br />

al loro posto»], dipinto con delicatezza, trattenuto in una sorta di sospensione,<br />

in uno stato di beatitudine terrestre. Questo quadro idilliaco, che riesce difficile<br />

scindere dalle immagini del presepe, è tinteggiato con i colori delicati della malinconia<br />

e della nostalgia perché il tempo, indiscusso signore dell'esistenza di uomini<br />

e cose, trascorre inesorabile «insina che tej te acurzi» [«senza che te ne accorga»],<br />

travolgendo nel suo inarrestabile fluire anche quel mondo del quieto vivere<br />

che va inevitabilmente dissolvendosi.<br />

I valori di questo mondo meritano però d’essere tesaurizzati a futura memoria<br />

(Al tenpo pasa [Il tempo passa], Douto pasa [Tutto passa]. Vale la pena di citare<br />

per intero la lirica Al tenpo [Il tempo]:<br />

Dulso jera al son de ‘l caligo<br />

de i anemai,<br />

cumo i canti de le sizole<br />

e de le vendeme,<br />

ma la bavizela de ‘l tenpo<br />

jo sparneisà par douto<br />

l’agoneja.<br />

Amaro el nustro ancui.<br />

Amara e dulsa<br />

zi sta nustra tera rusa<br />

1043 È il termine usato in istrioto per indicare gli abitanti autoctoni di Dignano.

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