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Le parole rimaste - Edit

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664<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

le abeliva questo autentico giardin 1130.<br />

E oggi? «A vederlo, desso, a tuti el cor ghe se sera / tanto mal ridoto el se<br />

presenta, e trascurà» 1131.<br />

Stell intreccia abilmente – ma è un’abilità non ricercata – con passione macchiettistica,<br />

personaggi e situazioni che immerge in precisi spazi topografici cittadini,<br />

carichi di significati simbolici per i polesi originari della città, sia per quelli<br />

rimasti, sia per quelli della diaspora. Senza gesti clamorosi, Stell ribalta l’idea<br />

stessa della poesia, la ribalta nei confronti dei modelli alti, con il passaggio dall’<br />

“euforico” al “disforico” cui concorre l’immissione della quotidianità più prosaica<br />

all’interno del ‘dicibile poetico’. Egli scrive così ‘come gli passa per la testa’,<br />

con schiettezza e ironia, divertendosi e divertendo, teso più verso le realizzazioni<br />

obiettive che alla speculazione pour le plaisir du jeu. Gli piace mettere a<br />

confronto scorci di vita passata con quelli “consumistici” da lui vissuti in vecchiaia.<br />

Neanche a dirlo, sono i primi ad essere orgogliosamente e umilmente<br />

esaltati, mentre i secondi sono stupidi e insensibili come nella poesia El sabo dei<br />

patussi [Il sabato dei soldini], che evoca i tempi in cui gli arsenalotti ritiravano<br />

il salario ed era festa per tutta la città: da una parte – siamo fra gli anni Venti e<br />

Quaranta – l’allegria dello stipendio settimanale che cadeva di sabato e dall’altra<br />

parte la grettezza della contemporaneità. La gran parte della poesia di Stell,<br />

anche quando si ispira all’idillio del mare, o a piccoli riti domestici, si snoda su<br />

questo continuo raffronto, come un andirivieni, fra la Pola del passato e quella<br />

del presente, e il verso si inizia di solito con la congiunzione avversativa ma e<br />

con l’avverbiale di tempo desso. Ecco le strofe finali del Sabo dei patussi:<br />

De qua e de là se sentiva i canti,<br />

ma tanta gente ‘ndava a casa in furia<br />

chi con le paste, altri con l’anguria<br />

e in scarsela qualche regaluss.<br />

E no mancava mai la damigiana<br />

de Malvasia, de Apolo o de Teran<br />

e no fi niva mai la setimana<br />

che a l’opera no andassi el polesan.<br />

1130 Parco de Marina [Il Parco della Marina]: «Lì c’erano mille piante, rare e sconosciute / portate<br />

a Pola da ogni spedizione / di nave che andava alle Bermude, / nelle Americhe, in Cina o in<br />

Giappone. // Ogni pianta aveva una targhetta / con la provenienza e il suo nome in latino. /<br />

Fontanelle con un’artistica vaschetta / abbellivano questo autentico giardino».<br />

1131 Da Parco de Marina [Il Parco della Marina]: «A vederlo, adesso, a tutti si stringe il cuore / tanto si<br />

presenta malridotto, e trascurato».

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