Le parole rimaste - Edit

Xe de sera
che se se acorsi
del giorno butà via 1144.
Venceslao Venci Krizmanich
Ancora amarezza esistenziale: nel tirare il bilancio delle proprie giornate il poeta
si avvede del tempo sprecato, delle occasioni non colte, del bene non fatto eppure
così facile da fare. Per accidia, conformismo, malinteso orgoglio. I concetti sono
enucleati per gradazione e accumulo (molto efficace l’ossimoro del «silensio che
siga») per giungere ai tre versi finali, che racchiudono una mesta constatazione.
Ve prego, diseme [Vi prego, ditemi]
Quel mio bisnono,
che sul Piave el ga distirà i crachi
sigando “viva l’Austria”,
no’l se gavaria mai insognà
che mio nono, orfano de guera,
sigando “ viva l’Italia”
saria restà per sempre
in quela tera de Abissinia
e che mio pare,
andà coi partigiani,
no’l saria più tornà;
el ga fi nì, anca lu’, i sui ani
sigando “viva la libertà”.
Tuti ‘sti morti mii
no i gavaria mai pensà
che anca mi, dopo ‘sta eredità,
volaria pur sigar qualcossa;
ma...viva chi ?
viva cossa?
viva noi,
viva voi,
viva lori?
Viva i bori?
Viva chi che pol sigar?
1144 De sera [Di sera]: È di sera / che vedo il giorno buttato via / malamente / e inutilmente / di
giorno cerco i perché / di cose non fatte / di fatti non detti / di lacrime non versate / di silenzi
che gridano / e di pensieri / che vanno nell’oscurità / ma il sole non lo trovano mica. / È di sera
/ che ci si accorge / del giorno buttato via».
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