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Le parole rimaste - Edit

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Eros Sequi<br />

emblema della torre d’avorio, ma sul campo di battaglia, fra i compagni che si<br />

spulciano e altri che fanno la guardia al campo di sosta 316.<br />

I continui estenuanti spostamenti di Sequi e del battaglione al quale viene di<br />

volta in volta assegnato (da Zagabria alla Posavina, da Topusko a Zagabria, dalla<br />

capitale croata alla Slavonia, dalla Krajina in Bosnia per giungere infine a Fiume)<br />

non sono contrassegnati da dati e spiegazioni, perché per l’autore le marce<br />

assumono un valore allegorico. Il professore toscano è dapprima semplice combattente,<br />

poi diventa capoplotone e infine torna a essere un intellettuale, perché<br />

ha ricevuto l’investitura dai propri commilitoni, ma questa volta è un intellettuale<br />

organico alla classe proletaria e a un concetto di modernizzazione che non si<br />

coniughi più con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per i partigiani jugoslavi<br />

“italiano” era sinonimo di fascista: l’autore capisce che può cancellare le colpe<br />

originarie – l’essere borghese e italiano – con il rifiuto del concetto di nazione<br />

per abbracciare quello più ampio di umanità. E l’umanità corrisponde alla popolazione<br />

partigiana in lotta contro l’oppressore nazifascista, a chi appoggia tale<br />

lotta e a chi ha subito l’oppressione 317.<br />

Esiste un mezzo per non sentire la colpa: sparare anche contro tutti quelli che<br />

si dicono italiani e ti infamano un nome che ti è dolce come quello di famiglia.<br />

Nessuno mi fa colpa di delitti commessi da bestie della mia lingua. Ma siamo<br />

croati, serbi, sloveni e io italiano, e tutti insieme combattiamo contro le bestie di<br />

ogni lingua. Ci comprendiamo meglio fra noi, nella lotta, di quanto mi sia possibile<br />

comprendere un toscano che incendia la casupola di un contadino serbo, o<br />

scarica la pistola sul petto tenero di una fanciulla appena violentata (…) 318<br />

È palese il desiderio di lavare l’onta dell’essere italiano per il tramite della lotta<br />

partigiana che lo uguaglia agli altri combattenti, “fra gente come te; un po’<br />

dura, forse; ma uomini come te” dei quali occorre guadagnarsi la stima, soprattutto<br />

perché sono stati gli italiani a uccidere il fratello del contadino serbo che lo<br />

accoglie in casa (Gliel’hanno ucciso, il fratello) per rifocillarlo: “Mangia, compagno<br />

– mi dice lentamente – quelli non erano italiani; erano fascisti – tu sei italiano,<br />

tu sei un nostro compagno” 319. Stima e rispetto si possono guadagnare eliminando<br />

anche la differenza di classe, l’essere lui un borghese con un’istruzione<br />

di gran lunga superiore a quella dei compagni. Con l’umiltà, con l’ammettere di<br />

316 Ivi, p. 38.<br />

317 Ivi, p. 38.<br />

318 EROS SEQUI, Eravamo in tanti, cit., p 63.<br />

319 EROS SEQUI, op. cit., p. 160.<br />

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