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Le parole rimaste - Edit

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208<br />

Capitolo IV | Dall’era del socialismo reale<br />

dover imparare dagli umili, in vista di un futuro di relazioni fraterne e civili fra<br />

tutti gli uomini e le donne.<br />

Sequi ricorda anche la fondazione dell’Unione degli italiani, nata allo scopo<br />

di stimolare gli italiani alla lotta e, in un secondo tempo, dopo il conflitto, farsi<br />

mediatrice culturale tra i vertici di PCJ e la popolazione italiana dell’Istria:<br />

Così, è nata l’Unione degli italiani: 10-11 luglio 1944. Come lavorerà? Quali saranno<br />

le forme di lavoro migliori? Per ora c’è un programma: c’è l’appello agli<br />

italiani dell’Istria e di Fiume: lotta, lotta senza compromessi. (…)<br />

L’appello è buono. Perdio, anche noi italiani facciamo la guerra e qualcosa avremo<br />

imparato dai partigiani; e dal Partito. (…)<br />

Qualcuno dice: – A che serve l’Unione, se c’è il Fronte? – Eh no, questo è chiaro;<br />

ha ragione il partito: che ci vuole. C’è gente che manovra dietro i reticolati<br />

tedeschi, e a Fiume, e a Pola e in tutta l’Istria. Hanno paura di perdere la poltrona,<br />

e allora fanno gli antifascisti, d’accordo con i fascisti, e tentano di disorientare<br />

i nostri lavoratori. (…)<br />

E l’Unione, allora?<br />

Allora cominceremo un’altra battaglia: faremo, creeremo in tutti i campi. E in<br />

quello della cultura, per noi ci sarà l’Unione.<br />

Nata nella lotta; e con la saggezza del Partito 320 .<br />

Illusioni e speranze destinate purtroppo a restare disattese.<br />

Verso la metà del 1951 Sequi si era accinto alla pubblicazione del suo diario<br />

partigiano, del quale aveva già pubblicato diversi capitoli nel quotidiano «La<br />

Voce del Popolo», ma si trovò davanti un muro. “Andava riordinando i suoi<br />

appunti da tempo – ha scritto Erio Franchi nell’introduzione alla terza edizione<br />

uscita a Milano nel febbraio del 2001 – e sul finire del 1951 lo propose all’<strong>Edit</strong><br />

di Fiume, che curava tutte le edizioni in lingua italiana, ma ne ebbe un rifiuto. La<br />

ragione era esclusivamente politica”. Era stato infatti appena destituito dalla carica<br />

di segretario dell’UIIF con l’accusa da parte della nomenklatura di eccessivo<br />

impegno a favore della cultura italiana e a sostegno dei legami con la madrepatria.<br />

Mandato in “esilio” a Zagabria, Sequi riuscì tuttavia a pubblicarlo in quella<br />

città, dopo averlo fatto tradurre in croato. Nel 1952, infatti, uscì con il titolo Bilo<br />

nas je mnogo nella traduzione di Ivo Frangeš per le edizioni Zora, e appena l’anno<br />

dopo apparve nell’edizione italiana a cura dell’<strong>Edit</strong> di Fiume.<br />

Sulla «Voce del Popolo» del 28 gennaio 1953 leggiamo uno scritto di Sergio<br />

Turconi relativo al diario Eravamo in tanti. La sua apparizione – scriveva Turconi<br />

– “ha segnato per la vita culturale della nostra minoranza un avvenimento di notevolissima<br />

importanza”, nonostante il libro fosse apparso in lingua croata. “Il<br />

320 Ivi, pp 189-190.

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