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Le parole rimaste - Edit

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640<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

attira l’attenzione del lettore sulle azioni narrate e colte nella loro durata: andavamo<br />

– scaldavamo – parlavamo – gridavo – crepitavano, ecc.) e del passato<br />

prossimo (che mantiene un considerevole livello di attualità psicologica con il<br />

presente dell’io narrante, perché nulla dà a vedere che le azioni descritte possano<br />

essere avvenute non più addietro dello ‘scorso inverno’). Parimenti a quanto<br />

accade in El cavalgante e la pezarula [Il cavalgante e la pezarula], pure in questo<br />

componimento abbiamo due dimensioni spazio-temporali. Una comune al poeta<br />

e al padre, incastonata nel regolare ritmo del lavoro e del susseguente meritato<br />

riposo. L’altra è completamente soggettiva e di conseguenza appartenente<br />

al solo poeta, il quale, nei versi conclusivi (vv. 21-27), asserisce che si estraniava<br />

nel crepitio del fuoco e mentalmente quasi scompariva.<br />

La portata atemporale della poetica cergnana è riconoscibile in moltissime<br />

delle sue poesie. Nella lirica El cavaldefero [La cetonia] fa addirittura comunicare<br />

il regno dei vivi con il regno dei morti:<br />

De noto le voz jò<br />

altri colori,<br />

e quele dei morti<br />

ze più arento.<br />

Como fi oi pici le se scondo<br />

dedrio le gambe dele careghe<br />

e le me varda de zbiego:<br />

como cavaidefero n tel scuro<br />

le me dizegna l mondo –<br />

ze lori!<br />

Poi, quel che sen mi<br />

el se ferma,<br />

el mi nverzo na ala e<br />

l mi diz<br />

che no jè bagnà i fi ori n cimitero,<br />

che i cani scraba nte la tera<br />

e che nfra le croze<br />

i fi oi pici, co buria e piovo,<br />

ven fura e rido 1088.<br />

1088 El cavaldefero [La cetonia]: «Di notte le voci hanno / altri colori, / e quelle dei morti / si fanno più<br />

vicine. / Come fanciulli si nascondono / dietro le gambe delle sedie / e mi guardano biecamente:<br />

/ come cetonie nel buio / mi disegnano il mondo – / sono loro! // Poi, quel che son io / si<br />

ferma, / mi schiude un’ala e / mi rammenta / che non ho annacquato i fi ori al cimitero, / che i<br />

cani rimestano nella terra / e che tra le croci / i fanciulli, quando tuona e piove, / vengono fuori<br />

e ridono».

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