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Le parole rimaste - Edit

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Alessandro Damiani<br />

specie di malinconico rifugio in se stesso, accentuato dall’incipiente senilità, che<br />

è l’opposto delle precedenti idealità collettivistiche e della tesi ortodossamente<br />

marxiana del passaggio “scientifico” dal regno della “necessità” a quello della<br />

“libertà”. Quell’idealità, cioè, che aveva dato consistenza al suo impegno, politico,<br />

artistico (…). Insomma, se prima per lui il sistema era valido e la colpa del<br />

suo fallimento era degli uomini, ora anche l’ideale socialista ha perduto la sua<br />

credibilità e al suo posto resta “uno scenario di rovine 727 .<br />

Auto biogra fia impietosa, simbolico viaggio senza ritor no, quello che Damiani<br />

compie dentro se stesso, nel crepusco lo di un’era che prelude alla notte<br />

dell’intelligenza, tra un passato di reperti senza valore e un futuro privo di<br />

attese. Un’autobiografia psicologica, ideologica e morale bilanciata tra privata<br />

confessione-testimo nianza e indagine storico-politica di drammatici eventi del<br />

nostro secolo, ben degna di affermarsi, anche al di fuori della letteratura istroquarnerina,<br />

nell’attuale narrati va italiana, fortemente legata alla nostra società e<br />

alle sue convulsioni.<br />

Con la spietata coscienza critica e la volontà di chia rezza razionale della maturità<br />

(che lascia intravede re una materia sentimentale spesso amara e struggente),<br />

lo scrittore calabro-fiumano traccia nel suo libro-testamento il malinconico<br />

fallimento di una vita e di un’epoca che volgono al declino.<br />

Strutturalmente si tratta di un duplice viaggio: esteriore e geografico (nella<br />

sua terra d’origi ne, la Calabria, dopo un’assenza di quarant’anni) e allo stesso<br />

tempo inte riore (al termine del suo lungo e tormentoso percorso esistenziale).<br />

Il ritorno al Sud, per un intellettuale idealista, teso all’iso lamento, non disposto<br />

a “diluirsi in massa” né desideroso di emergere, vissuto volontariamente a Fiume,<br />

sulla costa liburnica, in una delle aree geografiche “più esposte ai peggiori<br />

disastri (...) risuc chiato nel vortice dei fallimenti di questo scorcio di secolo” 728,<br />

è soltanto una pausa ristoratrice, il ricupero di un’infanzia emotiva nella quiete<br />

del crepu scolo. Privo ormai non solo della speranza, ma anche della voglia di<br />

trovare una spiegazio ne per l’accaduto, egli afferma:<br />

Torno – ne ho piena coscienza né mi sfiora il pensiero di rendermene il gusto<br />

meno amaro – stanco e deluso da un percorso, lungo una vita, che mi nega persino<br />

la dolcezza dei rimpianti: quando il dolore si fa poesia vissuta e rasenta o<br />

sfocia nel narcisi smo [...]. Né mi va di cercare unitamente con le mie le responsabilità<br />

degli altri. Per me, sprovveduto idealista, sento fastidio 729 .<br />

727 Ivi, pp. 14-15.<br />

728 ALESSANDRO DAMIANI, La torre del borgo... cit., p. 23.<br />

729 Ivi, p. 27.<br />

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