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Le parole rimaste - Edit

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504<br />

Capitolo V | La seconda stagione: dal «noi» all’«io» (1963-1974)<br />

così come Schiavato ha portato Dignano e i contadini della boumbaria nelle “altre<br />

lettere” italiane, come altri scrittori istro-quarnerini hanno inserito in questa<br />

letteratura una variegata terra di confine, così Sudoli vi portò l’aspetto singolare<br />

di un mondo che, pur esotico e lontano, apparteneva comunque anche<br />

agli italiani: la naja nell’esercito jugoslavo in tempi duri, come quelli degli anni<br />

Cinquanta, che cominciavano a movimentare la vita sociale e politica di un Paese<br />

che sempre più si scopriva un conglomerato di popoli troppo diversi anche<br />

se consanguinei, una federazione costruita a fatica da Tito e che si sarebbe<br />

sfasciata dopo la sua morte. Nel racconto di Sudoli si legge un mondo visto in<br />

tutta la sua verità, senza abbellimenti, senza fronzoli ideologici, con pregi e difetti.<br />

La sua fu una delle primissime opere italiane – anteriore alla ‘rivoluzione’<br />

stilistica e linguistica della Milani Kruljac – nella quale ebbero diritto di cittadinanza<br />

vocaboli serbi e croati, a cominciare da gotovo (basta). È finita la naja,<br />

i soldati si preparano al congedo e al ritorno a casa in abiti borghesi. E proprio<br />

da quel punto – alla fine di un’esperienza durata due anni – Sudoli avvia la<br />

narrazione. Comincia da un’osteria, continua con l’incontro-commiato con un<br />

maggiore che nutre, come tanti altri jugoslavi, non pochi pregiudizi sugli italiani,<br />

e prosegue con il dignitoso, polemico contegno del soldato italiano che<br />

smentisce i pregiudizi, difende la propria identità e quella della comunità, alla<br />

quale appartiene.<br />

Non mi sono mai sentito ripetere tante volte la mia nazionalità quanto da tre<br />

anni a questa parte. Se mangio, sono l’Italiano mangione, se bevo sono l’Italiano<br />

ubriacone, se sto zitto sono l’Italiano che tace, se parlo sono l’Italiano che<br />

chiacchiera e intanto migliaia e migliaia di altre persone mangiano, bevono, tacciono<br />

e parlano e vengono chiamate con il loro nome e basta... Zvonko, Pero,<br />

Stane. Bisogna parlarci chiaro una buona volta: siamo nati qui e vogliamo essere<br />

Franco, Gigi, Sergio o chi altro diavolo e lavorare e vivere come gli altri, insieme<br />

agli altri. Bisogna parlar chiaro (...).<br />

Nato nel 1932 a Pola, Sudoli fece il servizio militare in fanteria, a Daruvar<br />

(Slavonia) all’inizio degli anni Cinquanta. Assunto nel 1954 come reporter prima<br />

alla Radio, poi alla TV di Capodistria e di nuovo alla Radio, dedicherà al<br />

giornalismo quarant’anni di lavoro con incarichi di responsabilità. Si spegnerà<br />

nel dicembre del 2001 a Capodistria. Nella trama del suo romanzo 855, il narratore<br />

ha messo in risalto il faticoso superamento dell’impatto con un mondo<br />

diverso ma provvisto anche della solidarietà e della comprensione di parecchi<br />

commilitoni, come il serbo Obren, lo zingaro-čergaš [nomade] Zečir, il bosniaco<br />

Miljenko e altri soldati del caleidoscopio jugoslavo-balcanico: anche loro sostenevano<br />

che il maggiore era una “carogna”<br />

855 Ripubblicato in tre puntate su «Panorama» nel gennaio-febbraio 2002 (nn. 2,3 e 4).

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