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Le parole rimaste - Edit

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Alessandro Damiani<br />

loro parola come una Natura chiusa, tale da abbracciare al tempo stesso la funzione<br />

e la struttura del linguaggio. Allora la Poesia non è più una Prosa intessuta di ornamenti<br />

o privata di libertà. È invece una qualità irriducibile e senza retaggio alcuno.<br />

Non è più attributo, ma sostanza, e di conseguenza può benissimo rinunciare ai segni,<br />

giacché porta la propria natura in se stessa e non deve far altro che manifestare<br />

all’esterno la propria identità: i linguaggi poetici e prosastici sono abbastanza distinti<br />

per poter fare a meno dei segni relativi alla loro alterità 763 .<br />

Orbene, il criterio su cui si fonda la lirica di Damiani aderisce essenzialmente<br />

ai principi filologico-stilistici classici esposti nella citazione barthesiana, e pertanto<br />

mira – come si è già asserito – all’unità di linguaggio. Questa lirica mai e poi<br />

mai si priva del proprio potere diacronico e attributivo, stabilito dalla lingua … e<br />

mai innalza la parola – a differenza della poesia manifestatamente moderna – alla<br />

qualità di ‘sostanza autosufficiente’ ponendola, con procedimenti sincretistici, in<br />

un “universo diviso” (talvolta finanche solipsistico) e dalla “Natura chiusa”.<br />

Prendendo a prestito Ferdinand de Saussure per il quale langue e <strong>parole</strong> sono<br />

nettamente distinte (in quanto la prima è determinata da regole che il singolo<br />

assimila dalla comunità e pertanto non può modificarle perché quelle rappresentano<br />

e riproducono il momento sociale del linguaggio, mentre la seconda è<br />

il momento individuale del linguaggio perché può essere creativamente modificata<br />

dal singolo, a seconda di come lo stesso utilizza le regole della lingua allo<br />

scopo di formulare il proprio pensiero personale), nella propria disciplina artistica<br />

Damiani privilegia la lingua – rispetto alla parola.<br />

Egli, quindi, del linguaggio predilige la linea diacronica rispetto a quella sincronica.<br />

Ma quantunque il ‘fisiologico’ distacco dalla poesia moderna testimoni<br />

dell’autore una situazione mentale 764 ‘etimologicamente’ propensa alla valorizzazione<br />

del piano storico/diacronico del linguaggio (la langue) piuttosto che al<br />

suo potenziale piano inventivo/sincronico (la <strong>parole</strong>), le diacronie letterarie non<br />

escludono comunque l’esistenza delle sincronie 765. Pertanto sebbene Damiani<br />

763 Ibid.<br />

764 Derivante senz’altro da un innamoramento giovanile nei confronti dell’’arte dei padri’, che l’autore<br />

non ha voluto oppure non ha potuto tradire.<br />

765 Questa rifl essione naturalmente non è valida soltanto per Damiani ma qualora si parla di arte<br />

vale sempre – per tutti i tempi e per tutti i generi espressivi. Di fatto le ‘invenzioni creative’ che<br />

si costruiscono esclusivamente o principalmente traendo l’impulso dalla sfera diacronica del<br />

linguaggio artistico per il caso utilizzato (sia questo d’ispirazione letteraria o pittorico-plastica o<br />

musicale, ecc) non possono essere altrettanto considerate invenzioni artistiche, a prescindere la loro<br />

buona o cattiva riuscita. A prescindere, cioè, dal loro aspetto che può sapientemente ricalcare il<br />

linguaggio artistico preso in uso, o lo può sfi gurare fi no al kitsch.<br />

Se si accetta il principio saussuriano che la lingua è una forma (non una sostanza) e che in essa<br />

il piano dei signifi canti (l’espressione) e il piano dei signifi cati (il contenuto) sono distinguibili,<br />

allora per quanto riguarda le produzioni estetiche, (o meno estetiche), è di fondamentale im-<br />

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