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Le parole rimaste - Edit

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Romina Floris<br />

l’autrice ha del poeta dialettale che, oltre a dar voce attraverso la parlata nativa alla<br />

propria gente ed esprimere la sacralità della terra, sa esternare la propria condizione<br />

esistenziale in delicate variazioni intimistico-sentimentali. La scrittura dialettale<br />

così concepita, oltre a esprimere l’impasto totale e sereno con la vita rustica del<br />

“campanile”, diviene esperienza di creatività e opportunità di introspezione per<br />

trasmettere riflessioni meno limitate e circoscritte, più latamente esistenziali. Ma<br />

la scrittura dialettale è anche dimensione alta, di forte tensione etica. È strumento<br />

per apostrofare gli uomini in tono vivace di polemica di chi non ne può più delle<br />

loro cattiverie ed esprime disapprovazione per i cambiamenti del tempo moderno<br />

in cui anche «la morto / no la ∫e più libera: / anca jela / i soldi la pol comprà» [«la<br />

morte / non è più libera: / anche lei / i soldi la possono comperare»]: è momento<br />

di sfogo di una coscienza che si rapporta criticamente con un presente in continuo<br />

degrado e con le sconfitte che gli umili e gli indifesi subiscono dal progresso,<br />

nonché occasione per esprimere il dolore per il destino di una terra splendida ed<br />

insieme afflitta, segnata da secoli di sfruttamento e migrazioni forzate, baciata dalla<br />

natura e tormentata dalla storia 1078.<br />

Nelle liriche intimistiche la poetessa restituisce i sentimenti, le emozioni e le<br />

cose nella loro castità, nel loro peso di nudità e di essenzialità con un dettato in<br />

cui non ci sono slabbrature né echi ambigui, né aloni che sfrangino o frantumino<br />

il senso. Dietro le <strong>parole</strong> della poetessa s’indovina una grande energia, una<br />

tensione amorosa che cifra ogni suo verso, ma anche il senso di un’invalicabile<br />

separatezza dagli altri e dalla vita stessa, quella vita che «∫e un film / che se varda<br />

/ ‘na volta sola / e poi no resta altro / che un ricordo perso» [«è un film /<br />

che si guarda / una sola volta / e poi non resta altro / che un ricordo perduto»].<br />

Emblematica la lirica Nuda tratta dalla silloge El fajè del limedo [L'erba del sentiero]<br />

(1990) in cui sembra addensarsi tutta la solitudine dell‘io poetico, la sua disarmata<br />

fragilità.<br />

A Dio no ghi je domandà mai<br />

se l’e∫isto,<br />

forsi parchè lu je sempro<br />

vuldì ‘n mi<br />

o parchè la me anema<br />

no la jo bu mai la forsa<br />

de esi cusì picia.<br />

Sen nuda<br />

su ‘n verdo pra che nisùn<br />

1078 Sentimenti espressi nelle liriche: Femo pa∫ [Facciamo pace], Mondo moderno, Me nonu straco [Mio<br />

nonno stanco], Tera vedorna [Terra incolta], Istria, Sa no ∫e più Vale [Qui non è più Valle], I le ciama<br />

[<strong>Le</strong> chiamano].<br />

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