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Le parole rimaste - Edit

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Lucifero Martini<br />

Fiume funge alcune volte da ‘alter ego’ e altre volte da specchio in cui Martini<br />

riflette la propria immagine, fiaccata dalle promesse disattese di un passato<br />

che incomincia ad essere messo seriamente in discussione da un imprevedibile<br />

futuro. Colloquio con la città, comunque, si rende disponibile al sentimento piuttosto<br />

che all’impegno, allarga le porte non soltanto alle ‘verità’ dei fatti ma pure<br />

alle verità dell’anima, la quale mai si è data – nonostante avesse tentato di farlo<br />

nel periodo creativo della prima metà degli anni Settanta – la libertà di intraprendere<br />

un’introspezione per davvero sincera. Adesso l’autore non cerca apposta<br />

gli spunti tematici nel reale oggettivo affinché sia esso a dargli la consistenza<br />

del messaggio poetico e ‘corpo’ alla sua personalità. No, adesso il reale oggettivo<br />

(nella fattispecie la città di Fiume, il suo passato e il suo presente, nonché il<br />

passato e il presente del poeta) è assorbito spontaneamente. Questa spontaneità<br />

rende concretamente riconoscibile l’’io’ soggettivo del Nostro, che nella forma si<br />

esprime attraverso una discorsività lirica di poco lontana dal procedere prosastico<br />

e nella sostanza svela l’anelito nostalgico dell’interessato verso la Fiume di un<br />

tempo (quella oramai superata dall’avanzare storico) e verso il se stesso qual era<br />

nella città del passato. Nel contempo Martini, in Questo dibattere continuo tra ciò, denuncia<br />

la percezione della propria solitudine e della propria impotenza di fronte<br />

al presente che ha rotto i ponti con ciò che è trascorso, e confessa la sensazione<br />

d’incertezza nei confronti del futuro, che gli si presenta poco rassicurante:<br />

Questo dibattere continuo tra ciò<br />

che mi hai dato e che mi hai tolto,<br />

o mia città, questo perpetuo oscillare<br />

tra la certezza e il dubbio<br />

inaridiscono l’irragionevole speranza<br />

mentre il tempo si frantuma in <strong>parole</strong><br />

fi oche e grigie.<br />

Con le dita rattrappite afferro la lama<br />

affi lata dell’ira (o della viltà?)<br />

e mi sento divorare dal mio sangue.<br />

“Soffri?”, mi chiedi. “Non lo sai?”, osservo.<br />

Sapevo che per me ogni rifugio<br />

era fatto di vetro e non mi avrebbe<br />

mai risparmiato dal sale delle lacrime.<br />

<strong>Le</strong> ultime sillogi martiniane non ripetono la prova di Colloquio con la città. Esse<br />

appartengono agli anni Novanta, cioè a quegli anni che sotterrarono definitivamente<br />

– sulla scia della caduta del muro di Berlino 352 – un’epoca e ne aprirono<br />

352 Avvenuta il 3 ottobre 1989.<br />

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