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Le parole rimaste - Edit

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Mario Schiavato<br />

sonaggi e di incisive vicende rilevate di scorcio e fissate con tratti incisivi: è evidente<br />

l’adesione sentimentale dell’autore a quel mondo di tenaci contadini, induriti<br />

dalla fatica, ancorati a una concezione esistenziale arcaica, quasi verghiana,<br />

a antichi e solidi valori anche quando le vicissitudini della vita li costringono<br />

a inurbarsi. Egli scava in questa stratificata, dolorosa geologia collettiva: c’è in<br />

molti racconti di Schiavato anche la lucida e sofferta consapevolezza dei tragici<br />

sconvolgimenti degli anni della guerra e del dopoguerra (Una storia minima), del<br />

dramma dell’esodo, della progressiva urbanizzazione e industrializzazione, del<br />

problema delle identità scisse tra campagna e città (Il ritorno), di solitudine, di distruzione<br />

di primordiali unità ed equilibri (Campana a morto).<br />

Pagine che acquistano risonanze profonde, profili nitidi e perentori; dall’ambiente<br />

rurale vengono tratti i termini dialettali che rendono il contesto narrativo<br />

più realistico ed efficace. “Una raffigurazione drammatica e talora tragica, di<br />

una piccola, quotidiana epica popolare” 627: l’autore ha messo a fuoco, nei suoi<br />

racconti, il nucleo della sua riflessione che variamente rivisiterà nella sua narrativa<br />

maggiore, cioè nei romanzi della sua trilogia, attraverso i topoi della storia,<br />

dell’ambiente, della terra, del linguaggio.<br />

In Terra rossa e masiere 628 , romanzo di grande successo, il primo della trilogia che<br />

comprende inoltre L’eredità della memoria 629 e Il ritorno 630 , Schiavato esprime un<br />

preciso radicamento nel proprio territorio, a Dignano, fatto di terra rossa e muretti<br />

a secco, di paesaggi incantati e suggestivi, un luogo, questo, che fa parte del<br />

suo mondo ancestrale e che assurge alla dimensione di memoria e di mito.<br />

Queste tre opere narrative costituiscono il suo grande ciclo narrativo, psicologico<br />

e cronologico che delinea l’ampio quadro storico-epico del mondo dignanese<br />

in un lungo arco di sviluppo temporale, nel turbinìo tragico degli avvenimenti<br />

bellici del secolo scorso, nelle fratture politiche, sociali e morali, nel<br />

progressivo, terribile, ma ineluttabile disgregarsi di una comunità o, meglio, di<br />

una civiltà, quella istriana, che potrà sopravvivere soltanto nella memoria, anche<br />

se nelle pagine conclusive de Il ritorno si intravede un barlume di speranza e<br />

di rinnovamento esistenziale.<br />

I resoconti limpidi, ricchi di atti, di gesti, di relazioni dei personaggi con le<br />

stagioni della vita, con la natura, con la storia e con il destino si definiscono<br />

nel ritmo esistenziale minuto, nelle prospettive quotidiane dell’intenso soffrire<br />

627 BRUNO MAIER, in «Voce Giuliana», Trieste, 1982.<br />

628 MARIO SCHIAVATO, Terra rossa e masiere, Fiume-Rijeka, <strong>Edit</strong>, 2003.<br />

629 MARIO SCHIAVATO, L’eredità della memoria, Fiume-Rijeka, <strong>Edit</strong>, 2005.<br />

630 MARIO SCHIAVATO, Il ritorno, Fiume- Rijeka, <strong>Edit</strong>, 2006.<br />

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