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Le parole rimaste - Edit

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348<br />

Capitolo IV | Dall’era del socialismo reale<br />

sformata da altre, diverse culture, differenti modi di vivere. Dissacrate e perdute<br />

per sempre la casa di via Merceria e quella, ancor più amata, del nonno, così<br />

a lungo idealizzata come l’arca santa delle memorie. Ancora una volta l’ansia, il<br />

dolore, la consapevolezza di una rovina inarrestabile; eppure è ancora possibile,<br />

per Lorenzo, abbandonarsi all’eterno fluire della natura, avvicinarsi ai segni<br />

dell’antica matrice linguistico-culturale che ancora sopravvivono a Dignano e in<br />

Istria, cercare e trovare alcune significative figure di riferimento come il vecchio<br />

maestro e soprattutto l’ottantaseienne zia Marussa, la “maestra rossa”, costretta<br />

a sopravvivere in un mondo che non sente più suo, un tempo nota “per le sue<br />

idee di libertà, giustizia e fratellanza del popolo lavoratore e per l’aiuto ai partigiani…”,<br />

un personaggio-archetipo che costituisce “il mezzo per rappresentare<br />

la situazione politica e sociale, in Jugoslavia prima, in Croazia adesso: i soprusi<br />

e le illusioni cadute, la guerra jugoslava e il nuovo esodo strisciante, le umiliazioni<br />

inflitte agli antifascisti e l’insediamento massiccio di foresti che svuotano la<br />

cultura locale dei suoi contenuti più civili: a lei, ex comunista e atea, non è rimasto<br />

che Dio” 636.<br />

E sarà lei, la drugarissa rossa a diventare una sorta di madre intellettuale, spirituale<br />

per Lorenzo, sicuramente la sua inconsapevole guida verso il ritorno: Lorenzo,<br />

dopo quest’incontro, raggiungerà infatti il punto estremo del dolore, della<br />

crisi, per pervenire, infine, a uno scioglimento, a un placamento interiore, a<br />

una ritrovata armonia che coinciderà con la decisione di restare e coltivare l’oliveto<br />

del nonno, forse per sempre.<br />

Due destini di frontiera, quelli dei ‘rimasti’ e dei ‘partiti’, due diversi sradicamenti,<br />

due dolori, specchio e testimonianza di una condizione subita da migliaia<br />

di altre persone, che hanno la medesima dignità e possono trovare un punto in<br />

comune: è questo, forse l’estremo messaggio della metaforica, archetipica , incisiva<br />

trilogia di Mario Schiavato.<br />

Il “ ritorno” di Lorenzo in Istria e soprattutto la decisione di rimanervi per<br />

rimettere in sesto l’oliveto del nonno o, meglio, per sanare l’irriducibile scompenso<br />

tra l’idillica infanzia e l’infelice, alienata maturità vissuta da esule in Italia,<br />

conclude le ultime pagine della trilogia di Schiavato e sembra essere l’evento<br />

salvifico di una vita senza luce, senza scampo, in isolamento dalla realtà e dalla<br />

storia: l’autore ha ricomposto, in un piccolo “classico” moderno, un intreccio<br />

drammatico, in cui la dilatazione prospettica dello spazio e del tempo coopera<br />

alla dinamica degli eventi, ed evidenzia emblematicamente la tormentata storia<br />

collettiva di Dignano e di tutta l’Istria, iscrivendole nel segno autobiografico,<br />

simbolico e realistico della memoria e della continuità.<br />

636 Ibid.

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