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Le parole rimaste - Edit

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4. La cultura di massa<br />

in prospettiva socialista<br />

Il 1948 per la Jugoslavia, il cui Partito comunista viene espulso dal Cominform,<br />

equivale al crollo di un mito, alla sparizione di un forte punto d’appoggio,<br />

di un radicato sistema di valori, di una forza cui commisurarsi sia<br />

politicamente, sia economicamente e culturalmente 178. Se la rottura politica con<br />

i Paesi del blocco sovietico è chiara e se è evidente la necessità di creare nuove<br />

forme espressive per dimostrare le proprie capacità anche in campo letterario,<br />

non risulta facile trovare una via d’uscita nella politica culturale del Paese. Al<br />

“realismo socialista”, perlomeno in un primo tempo, gli intellettuali non riescono<br />

a contrapporre alcun movimento letterario diverso, almeno non senza correre<br />

il rischio di essere contaminati dal decadentismo o da altre correnti letterarie<br />

occidentali novecentesche defi nite “borghesi” ed essere accusati di cosmopolitismo<br />

che in pratica equivaleva a “deviazionismo politico”.<br />

Va considerata, in questo contesto, la continua pressione cui è sottoposto il<br />

direttore del Dramma Italiano Osvaldo Ramous quando introduce lavori pirandelliani<br />

nel repertorio del complesso di prosa della minoranza. È anche significativa<br />

la critica al genere giallo inteso come mezzo di evasione, di sfaldamento<br />

morale e di fuga dalla realtà, che relegherebbe le masse alla passività, distogliendole<br />

dalla partecipazione attiva agli eventi sociali.<br />

178 Jože Pirjevec defi nisce così l’atteggiamento delle autorità politiche jugoslave a proposito della<br />

situazione che viene a crearsi nel 1949: “Era chiaro, scriveva sulla «Borba», non senza caustici<br />

commenti, Moša Pijade, che bisognava indagare sul perché l’Unione Sovietica avesse deviato<br />

dalla retta via, per non ripeterne i crimini e gli errori. La voglia di togliersi di dosso “la cappa di<br />

Stalin” portò, già alla fi ne del ‘49, alla decisione del III Plenum del Comitato centrale di snellire<br />

l’enorme apparato statale e di partito, ch’era andato formandosi dopo il ‘45. Più di 100 000<br />

persone furono trasferite dagli uffi ci nelle offi cine, mentre alcune competenze del governo federale<br />

venivano delegate a repubbliche e province per andare incontro alle insoddisfazioni per<br />

l’eccessivo centralismo, manifestatesi fi n dall’immediato dopoguerra. Nel contempo si tentò<br />

di riorganizzare pure il settore dell’istruzione, secondo criteri meno dogmatici, più rispettosi<br />

della libertà intellettuale, di quelli importati dall’Unione Sovietica.”(Cfr. JOŽE PIRJEVEC, Il giorno<br />

di San Vito, Torino, Edizioni RadioTelevisione Italiana, 1993, p. 271.)<br />

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