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Le parole rimaste - Edit

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Alessandro Damiani<br />

ma non argina la tua rivolta<br />

né l’armonizza, vittima felice<br />

dei propri contrasti Roma.<br />

Ma cos’è oggi questa cerchia?<br />

Non il centro del mondo e neppure più<br />

se stessa: austera presenza di secoli<br />

sui contrafforti che aspettano il futuro.<br />

Nullità aulica, monca della parte<br />

migliore per esprimere in anonime<br />

brutture uno scorcio di tempo<br />

senza storia: ecco la città nuova.<br />

E tu credi defi nitiva<br />

questa parentesi? Ben altro<br />

ha conosciuto la nostra terra<br />

esperta di rivoluzioni mancate<br />

e lauti elogi alle virtù di prima,<br />

e non manca da ieri qui la fede<br />

agli atti e l’umiltà ai principî<br />

– sicché ogni spirito ribelle<br />

che abbia intatta l’energia di fede<br />

vede sottrarsi all’arco un punto fermo –<br />

ma come puoi desistere quando,<br />

o materia pregiata o creta frolla,<br />

è istinto<br />

plasmare sagome ardite?<br />

Ora, dacché il fascismo ha mutato nome<br />

spira una brezza sottilmente propizia<br />

al veleggiare di più astuti naufraghi,<br />

e a poppa raglia la socialdemocrazia<br />

in coro, esaltando i destini scandinavi<br />

di una terra di zotici. Ma contro<br />

i drudi idolatri del servo potere<br />

sarebbe profeta disarmato chi<br />

limitando lo sdegno a un’accusa<br />

valida e vaga, ritenesse espressa<br />

tutta la realtà in questa morta gora<br />

dove guazza la vergogna d’Italia,<br />

e deluso volgerebbe gli anni<br />

verso un porto mistico che ignori<br />

il rischio e la bellezza della lotta<br />

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