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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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Lucullo-Antioco difende un'interpretazione globale della tradizione socratico-<br />

platonica in chiave dogmatica (v. Luc. 15: “Quorum [sc. qui negant quicquam<br />

sciri aut percipi posse] e numero tollendum est et Plato et Socrates, alter quia<br />

reliquit perfectissimam disciplinam, (...); Socrates autem de se ipse detrahens in<br />

disputatione plus tribuebat is quos volebat refellere (...)”), senza però impiegare<br />

alcun riferimento autoritativo nei dettagli dell'argomentazione a difesa del criterio<br />

della verità.<br />

– utrumque verum puto: Cicerone conclude il passaggio con una nota<br />

altamente provocatoria. Dopo aver argomentato con forza a favore<br />

dell'indistinguibilità tra impressioni vere e false (a)parallaci/a, v. Luc. 83-84; cfr.<br />

Sext. Emp., Adv.Math. VII, 402-410), dichiara di ritenere vere le due tesi fin qui<br />

esaminate. Non si tratta però di un cedimento di Cicerone nei confronti di una<br />

prospettiva dogmatica. Ci troviamo piuttosto di fronte a uno di quei momenti in<br />

cui un academico “posa come stoico al fine di confondere lo stoicismo”, o meglio,<br />

in cui un academico argomenta partendo dalle tesi dell'avversario, per dedurne<br />

conclusioni radicalmente opposte. Questa reductio ad absurdum tipicamente<br />

academica risale ad Arcesilao e Carneade; per descriverla si è parlato di 'stoicismo<br />

scettico nella nuova Academia' 383 e di un uso di argomenti (puramente) ad<br />

hominem per confutare le tesi dell'avversario stoico.<br />

A questa lettura esclusivamente dialettica dello scetticismo di Arcesilao e<br />

Carneade si oppone un'interpretazione non esclusivamente dialettica delle<br />

argomentazioni riportate da Cicerone e Sesto Empirico. Il processo dialettico<br />

andrebbe letto in funzione di un risultato diverso dal semplice smascheramento<br />

delle contraddizioni dell'avversario. L'impossibilità di comprendere qualcosa<br />

come certo (a)katalhyi/a) lascia spazio nello scetticismo ciceroniano alla ricerca<br />

dell'eulogon (v. Arcesilao) 384 o del pithanon (v. Carneade) 385 , e dunque alla<br />

costruzione del discorso probabile e veri simile.<br />

Si dirà allora che, nel riprendere contro Antioco le argomentazioni academiche,<br />

Cicerone ritiene vera la tesi secondo cui “una impressione catalettica è tale da<br />

esser vera in un modo tale che non potrebbe esser falsa”, nel senso che accetta<br />

questa tesi come premessa di un ragionamento che ha come conclusione che<br />

383 v. Couissin (1929); cfr. Striker (1997), p. 257.<br />

384 v. Sext.Emp., Adv.Math. VII, 158 ; Striker (1980).<br />

385 v. T. 36 = De orat. III, 67 : « contra is quod quisque se sentiret dixisset disputare », n. 316.<br />

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