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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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provocatoriamente che la polemica è solo terminologica e che le due scuole in fondo<br />

difendono la stessa posizione (v. Tusc. V, 120: "Quorum controversia solebat tamquam<br />

honorarius arbiter iudicare Carneades. Nam cum, quaecumque bona Peripateticis, eadem<br />

Stoicis commoda viderentur, neque tamen Peripatetici plus tribuerent divitiis, bonae<br />

valetudini, ceteris rebus generis eiusdem quam Stoici, cum ea re, non verbis<br />

ponderarentur, causam esse dissidendi negabat"; 111 cfr. Ac. pr. II – Luc. 16, dove è già<br />

Arcesilao ad accusare Zenone di non introdurre niente di nuovo – nihil novi – a parte<br />

alcune innovazioni terminologiche) 112 ; L'attacco di Carneade, si desume anche altrove in<br />

Cicerone (Tusc. V, 120), intende mostrare come gli stoici si limitino a denominare<br />

'indifferenti' 'quelle cose che sono in accordo con la natura', che invece i peripatetici<br />

chiamano apertamente 'beni', finendo per entrare in contraddizione con l'assunto<br />

fondamentale della loro stessa riflessione etica, ovvero la continuità tra l'istinto dell'uomo<br />

e la virtù morale (v. Lévy (1992), p. 40-42). La riflessione carneadea affronta il problema<br />

dello statuto delle 'cose in accordo con la natura' all'interno del percorso che porta alla<br />

felicità 113 nel contesto di una discussione dialettica sulla coerenza delle teorie etiche del<br />

periodo ellenistico. Carneade intendeva probabilmente mostrare che, se gli stoici<br />

attribuiscono un valore (oggettivo) alle 'cose in accordo con la natura', allora la loro<br />

posizione coincide con quella dei peripatetici, nonostante le differenze terminologiche,<br />

altrimenti, se gli stoici rifiutano che le 'cose in accordo con la natura' abbiano un valore,<br />

allora la loro posizione coincide con quella degli 'indifferentisti' Aristone di Chio e Pirrone<br />

di Elide, ovvero con una posizione autocontraddittoria, poiché, volendo stabilire il primato<br />

assoluto della virtù, finiscono per privare la virtù di qualunque applicazione pratica,<br />

rendendola dunque inefficace ed inutile (v. Fin. II, 43 : "Dum enim in una virtute sic<br />

omnia esse voluerunt, ut eam rerum selectione exspoliarent nec ei quicquam aut unde<br />

oriretur darent, aut ubi niteretur, virtutem ipsam, quam amplexabantur, sustulerunt"; Fin.<br />

III, 11-12; Fin. IV, 78). Dunque, tenendo conto che la posizione di Aristone di Chio è stata<br />

confutata da Crisippo e che dunque lo stoicismo ha preso atto della contraddittorietà di un<br />

indifferentismo radicale, se ne deduce che la posizione stoica non può che coincidere con<br />

quella peripatetica. Catone nel libro III del De finibus risponde direttamente alla<br />

provocazione di Carneade e lo fa rievocando le linee principali della prima fase del<br />

111 v. Algra (1997), p. 126, n. 50.<br />

112 v. anche gli esiti più tardi della questione in Porphirius, In Cat. p. 237, 30 Kalbfleisch = SVF II 393).<br />

113 si conservano le tracce di una difesa da parte di Carneade ''per fini dialettici'' della formula del telos "frui<br />

principiis naturalibus" (Fin. II, 35), "nihil bonum nisi naturae primis bonis aut omnibus aut maximis frui"<br />

(Tusc. V. 84; "Introducebat etiam Carneades, non quo probaret sed ut opponeret Stoicis, summum bonum esse<br />

frui rebus iis quas primas natura conciliavisset" (Luc. 131 = T. 39)<br />

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