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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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da Cicerone con ognuna delle tesi da lui impiegate, in questo contesto come in altri, è infatti,<br />

nel rispetto della sua impostazione academica, meramente dialettico. Ritornando sulla<br />

questione dell'autarchia della virtù, Cicerone dimostra semplicemente di credere tanto nella<br />

capacità di resistenza della tesi dell'autarchia della virtù al criticismo avversario, quanto nella<br />

necessità di approfondire la coerenza delle argomentazioni impiegate da entrambe le parti.<br />

Del resto è importante notare che anche Carneade sembrerebbe essersi impegnato nella<br />

discussione (in utramquem partem?) della tesi per cui, indipendentemente da quale<br />

definizione del sommo bene si difenda, la pratica della virtù è sufficiente per assicurare la<br />

felicità, v. Tusc. V, 83: "Et quoniam videris hoc velle, ut, quaecumque dissentientium<br />

philosophorum sententia sit de finibus, tamen virtus satis habeat ad vitam beatam praesidii,<br />

quod quidem Carneadem disputare solitum accepimus" 605 . Il principio dell'autarchia si<br />

troverebbe dunque a far da premessa condivisa di alcune discussioni avviate dai filosofi<br />

'scettici'. Rispetto a tale premessa socratica, Carneade tendeva verosimilmente a mostrare le<br />

incongruenze delle conclusioni stoiche ("ut contra Stoicos, quos studiosissime semper<br />

refellebat"), mentre Cicerone procede a valutare la coerenza del suo utilizzo da una<br />

prospettiva che lui stesso definisce in questo contesto più pacifica ("nos quidem illud cum<br />

pace agemus"), almeno rispetto agli stoici. Di fatto l'avversario di Cicerone in questo contesto<br />

non sono più gli stoici (come invece nel libro IV del De finibus), quanto piuttosto coloro che<br />

egli ritiene non facciano un uso coerente del principio: Antioco e i suoi, v. Tusc. V, 22: "Nam<br />

ista mihi et cum Antiocho saepe et cum Aristo nuper, cum Athenis imperator apud eum<br />

deversarer, dissensio fuit".<br />

Commento<br />

A)<br />

– non ... facile concedo: non concedo equivale a negare la validità di<br />

un'inferenza nel ragionamento dell'avversario. In un dialogo fittizio sulla questione<br />

della felicità del saggio, in cui Antioco ha il ruolo di colui che interroga e Cicerone<br />

quello di colui che risponde, la discussione si arresta nel momento in cui si vuol<br />

605 Il significato della frase è determinato dal significato del verbo 'disputare' in questo contesto: nel caso in cui<br />

gli venga attribuito il senso positivo di 'sostenere', la tesi dell'autarchia verrebbe impiegata come premessa<br />

condivisa della discussione stimolata da Carneade, verosimilmente con l'obiettivo di mettere in risalto una<br />

contraddizione interna alla tesi stoica; diversamente un significato più neutro come quello di 'discutere,<br />

esporre, disputare', non permette di determinare con precisione la funzione della tesi nelle argomentazioni<br />

carneadee.<br />

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