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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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considerare l'esposizione di Varrone come una semplice testimonianza obiettiva del pensiero<br />

di Antioco, indipendentemente dal contesto dialogico in cui si trovava originariamente<br />

inserita. Si tenga presente infatti che Cicerone coinvolge solo in un secondo tempo il<br />

personaggio di Varrone in quella che viene concepita innanzitutto come l'esposizione per un<br />

pubblico latino di un importante conflitto interno alla scuola academica. Lo scopo principale<br />

dell'opera sembrerebbe essere quello di rendere efficacemente accessibile attraverso<br />

l'interazione dialogiaca le varie stratificate premesse e tutto l'intricato confronto dialettico tra<br />

lo scetticismo academico e la 'rivoluzionaria' proposta di Antioco in direzione di un ritorno ad<br />

un antico dogmatismo. Di conseguenza il taglio del discorso messo in bocca a Varrone non<br />

può che riflettere le esigenze espositive, comparative e riassuntive dell'opera per intero, la cui<br />

versione definitiva tuttavia ci è pervenuta solo in parte.<br />

Il passo in oggetto si colloca all'interno di una rassegna storiografica sull'evoluzione della<br />

dottrina platonica. Varrone prende le mosse dall'origine socratica della filosofia, ripercorrendo<br />

le varie tappe che da Socrate portano fino a Zenone di Cizio. Platone viene associato con il<br />

distacco dalla fase socratica del "nihil se scire nisi id ipsum" (v. Ac.libri I, 16) e l'origine<br />

dell'auctoritas di una dottrina 'plenam ac refertam' (Ac.libri I, 17), trasmessa attraverso una<br />

tradizione che si vuole perfettamente unitaria, pur essendo nota attraverso i due nomi distinti<br />

di Academia e Peripato. Varrone insiste sull'unità della tradizione (Ac.libri I, 17: "una et<br />

consentiens duobus vocabulis philosophiae forma instituta est, Academicorum et<br />

Peripateticorum, qui rebus congruentes nominibus differebant"; Ac.libri I, 18: "Quae quidem<br />

erat primo duobus, ut dixi, nominibus una, nihil enim inter Peripateticos et illam veterem<br />

Academiam differebat"; Ac.libri I, 22: "illud imprudenter, si alios esse Academicos qui tum<br />

appellarentur, alios Peripateticos arbitrantur"), per quanto il suo discorso sembri non poter<br />

evitare di introdurre delle importanti precisazioni. La figura di Aristotele in particolare viene<br />

da una parte perentoriamente ricondotta all'interno della successione dei discepoli di Platone,<br />

dall'altra gli viene riconosciuto lo statuto speciale di punta di diamante all'interno della<br />

tradizione di cui è esponente (v. Ac.libri I, 18: "abundantia quadam ingenii praestabat, (...),<br />

Aristoteles"). Al contempo, sempre ad Aristotele viene imputata l'apertura di una crepa nel<br />

processo di trasmissione dell'auctoritas di Platone, nella misura in cui altera la 'prima forma a<br />

Platone tradita' attraverso una critica della teoria delle idee: Ac.libri I, 33: "Aristoteles primus<br />

species (...) labefactavit". Varrone fornisce dunque le linee di una storia delle immutationes<br />

subite dalla dottrina platonica che sfocia nella presentazione della correctio stoica, passando<br />

per le turbolenze peripatetiche. Il passo in oggetto fornisce poi una diapositiva del punto<br />

preciso di transizione dalla 'conservazione diligente' dei filosofi academici all'intervento di<br />

Zenone, da leggersi in implicita contrapposizione rispetto all'invece problematica trasmissione<br />

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