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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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telos, in risposta alla grande provocazione teorica di Carneade; il filosofo academico infatti<br />

sosteneva, dialetticamente, la sostanziale identità di vedute tra la scuola stoica e la scuola<br />

peripatetica, per cui (presunte) divergenze sarebbero state riducibili a questioni puramente<br />

terminologiche 501 . Al discorso dogmatico e difensivo di Catone, Cicerone oppone nel IV libro<br />

un'esposizione critica delle dottrine stoiche, così come esse vengono discusse da una<br />

prospettiva certamente esterna alla Stoa, ma non meglio precisata: Cicerone parla per se<br />

stesso, in quanto uomo istruito, ovvero, diversamente rispetto a Catone, non si presenta<br />

esplicitamente quale portavoce di una scuola filosofica. Tuttavia nella cornice dialogica del<br />

testo sono presenti almeno due indizi di 'affiliazione' filosofica: il dialogo tra Cicerone e<br />

Catone si apre nella biblioteca di Lucullo (amico di Antioco d'Ascalona) 502 ; inoltre Cicerone<br />

dichiara di essere venuto per le opere aristoteliche che in quella biblioteca sa di poter<br />

trovare 503 . Cicerone intende dunque raccontare al lettore come abbia intrapreso un percorso di<br />

approfondimento delle opere degli antichi filosofi, Aristotele in primis, presumibilmente<br />

stimolato dalle opinioni di Antioco d'Ascalona, che a questi intendeva rifarsi 504 . Il resoconto di<br />

Catone non sembra affatto avere convinto Cicerone, il quale riprende l'idea di una coincidenza<br />

di opinioni tra stoici e peripatetici in un ottica più ampia, modificata presumibilmente in<br />

relazione agli insegnamenti di Antioco, ovvero coinvolgendo nel confronto dottrinale anche i<br />

primi eredi della tradizione platonica, gli antichi academici. Cicerone fornisce allora una<br />

storia della dottrina stoica a partire dal suo fondatore Zenone e attribuisce a quest'ultimo un<br />

debito di mancata riconoscenza nei confronti dei suoi predecessori.<br />

501 v. Fin. III, 41: "Carneades tuus (...) propterea quod pugnare non destitit in omni hac quaestione, quae de<br />

bonis et malis appelletur, non esse rerum Stoicis cum Peripateticis controversiam, sed nominum". Tusc. V,<br />

120: "Quorum controversia solebat tamquam honorarius arbiter iudicare Carneades. Nam cum,<br />

quaecumque bona Peripateticis, eadem Stoicis commoda viderentur, neque tamen Peripatetici plus tribuerent<br />

divitiis, bonae valetudini, ceteris rebus generis eiusdem quam Stoici, cum ea re, non verbis ponderarentur,<br />

causam esse dissidendi negabat"<br />

502 Fin. III, 7: “Nam in Tusculano cum essem vellemque e bibliotheca pueri Luculli quibusdam libris uti, veni in<br />

eius villam, ut eos ipse, ut solebam, depromerem.” La biblioteca del giovane Lucullo (v. Keith Dix (2000),<br />

pp. 441-464) venne presumibilmente allestita già dal padre di questi: Lucius Licinius Lucullus (c. 110-57<br />

a.C.), generale romano, famoso vincitore di Mitridate e amico di Cicerone (v. Ac.pr. II – Luc. 1-4; Fin. III, 9:<br />

"et Lucullus mihi versatur ante oculos, vir cum omnibus excellens, tum mecum et amicitia et omni voluntate<br />

sententiaque coniunctus"), il cui personaggio ha un ruolo centrale nelle prime opere filosofiche redatte da<br />

Cicerone: interlocutore di Ortensio e Catulo in quella che ci sono ragioni per pensare costituisse una sorta di<br />

trilogia di trattati filosofici (Hortensius, Catulus e Lucullus, v. Griffin (1997a) pp. 3-4), una sua villa fa da<br />

sfondo all' Hortensius (fr. 2 Grilli: "Cum in villam Luculli ventum esset, omni apparatu venustatis ornatam");<br />

a lui era inoltre intitolato uno dei due libri che costituivano la prima versione degli Academica. Nei dialoghi<br />

ciceroniani egli è portavoce della posizione filosofica di Antioco d'Ascalona, con il quale aveva di fatto<br />

intrattenuto le più strette relazioni (v. Glucker (1978), pp. 20-27).<br />

503 Fin. III, 10: “commentarios quosdam, inquam, Aristotelios, quos hic sciebam esse, veni ut auferrem, quos<br />

legerem, dum essem otiosus”. Cfr. Fin. V, 12: “De summo autem bono, quia duo genera librorum sunt, unum<br />

populariter scriptum, quod xwterikÒn appellabant, alterum limatius, quod in commentariis reliquerunt,<br />

non semper idem dicere videtur”; sulla fortuna degli scritti di Aristotele nel periodo ellenistico v. Barnes<br />

(1997), in part. p. 45, 46-50.<br />

504 Luck (1953); Glucker (1978); Prost (2001);<br />

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