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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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B)<br />

contraria, la quale, in ragione del comparativo (beatior), può essere ricondotta ad<br />

Antioco d'Ascalona, per cui l'apporto di beni esterni, in questo caso della possibilità<br />

di non doversi separare dalla propria patria, contribuisce ad una forma<br />

comparativamente maggiore di felicità (cfr. beatissima : Ac.libri I, 22 ; Tusc. V, 22-<br />

23 ; v. p. 355). Il contesto d'applicazione della domanda retorica è quello<br />

dell'Academia antica, per cui la tesi contestata costringerebbe ad ammettere che<br />

Platone e Polemone, originari di Atene, sarebbero stati più felici di Senocrate e<br />

Arcesilao, che invece venivano l'uno da Calcedone (Bitinia), l'altro da Pitane<br />

(Eolide), pur avendo tutti ugualmente praticato la filosofia all'interno della stessa<br />

scuola e dunque avendo tutti avuto accesso verosimilmente allo stesso tipo di<br />

saggezza. Quest'applicazione della teoria di Antioco risulta dunque paradossale e<br />

impraticabile. L'esempio stesso della vita di quei filosofi a cui l'Ascalonita voleva<br />

rifarsi confuta la sua posizione e permette invece a Cicerone di proseguire la sua<br />

indagine su altre basi.<br />

Il nome di Polemone in questo contesto viene impiegato in quanto di esponente della scuola<br />

academica che era anche originario di Atene e che dunque non dovette confrontarsi con le<br />

circostanze dell'esilio e dell'allontamento dalla propria patria. I dettagli biografici dei filosofi<br />

menzionati in questo testo sono funzionali alla dimostrazione della tesi per cui una vita<br />

condotta lontano dal luogo d'origine non impedisce all'uomo saggio di accedere alla felicità,<br />

nella misura in cui la sua virtù non solo è sufficiente a garantire la felicità, ma permette anche<br />

di relativizzare l'importanza degli altri beni inerenti alla vita dell'uomo. Si noti che il testo<br />

della Consolatio ad Helviam di Seneca attribuisce ad uno scritto di Bruto Sulla virtù un giro<br />

di pensiero perfettamente corrispondente a quanto illustrato in questo contesto. Scrive Seneca:<br />

(9. 4) "Brutus in eo libro quem de uirtute composuit ait se Marcellum uidisse Mytilenis<br />

exulantem et, quantum modo natura hominis pateretur, beatissime uiuentem neque umquam<br />

cupidiorem bonarum artium quam illo tempore". La presenza della forma superlativa<br />

dell'aggettivo 'beatus' indica che anche il testo di Bruto aveva come possibile riferimento<br />

critico la distinzione introdotta da Antioco tra una vita beata, garantita dalla sola virtù, e una<br />

vita beatissima, assicurata dall'apporto dei beni esterni. Per quanto Cicerone presenti Bruto<br />

come un attento estimatore dell'operazione ermeneutico-filosofica di Antioco, è possibile qui<br />

constatare che, in ambiente romano, la sua posizione venne assimilata non senza passare un<br />

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