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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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etiche del periodo ellenistico una figura essenzialmente teorica capace di superare le<br />

limitazioni della vita umana attraverso il pieno sviluppo della/e virtù. La sua<br />

funzione è tendenzialmente quella di un paradigma teorico più che di un modello<br />

concreto storicamente attuabile.<br />

L'incontro invece tra l'etica stoica e la cultura romana favorisce l'attribuzione di<br />

alcune caratteristiche della figura del saggio ad alcune figure di 'uomini illustri' della<br />

storia della repubblica romana : v. l'exemplum di Marco Regolo e Gaio Mario in<br />

Paradox.stoic. 16.<br />

La figura del saggio all'interno del discorso etico serve infine a testare la forza e la<br />

coerenza di ogni istanza etica. È convinzione diffusa infatti che la felicità sia<br />

qualcosa di permanente e difficile da perdere (v. Arist., EN 1100 a 35 – b 3); nella<br />

figura del saggio, in quanto rappresentante dell'eccellenza umana, la felicità non può<br />

che configurarsi come un possesso stabile, pena la sostanziale inaccessibilità di una<br />

qualsiasi felicità per l'uomo comune. L'etica aristotelica sembra dal canto suo essersi<br />

spinta fino all'indagine delle attività che maggiormente si avvicinano al possesso<br />

pieno della felicità proprio della divinità, senza però mai avventurasi nella<br />

teorizzazione di una figura umana stabilmente e perfettamente felice. Diversamente,<br />

essa sembra aver insistito sulle differenze che intercorrono tra la perfetta beatitudine<br />

teorica della divinità e la felicità accessibile all'uomo nel contesto della sua vita<br />

terrena : v. e.g. Arist. EN 1178 b 25-27: "τοῖς μὲν γὰρ θεοῖς ἅπας ὁ βίος μακάριος,<br />

τοῖς δ' ἀνθρώποις, ἐφ' ὅσον ὁμοίωμά τι τῆς τοιαύτης ἐνεργείας ὑπάρχει".<br />

Nella presente discussione la teoria etica proposta da Antioco viene valutata in<br />

relazione alla sua compatibilità con la tesi della felicità del saggio, il cui fondamento<br />

socratico è posto alla base di tutta la discussione: v. Tusc. V, 28: "velut in ea ipsa<br />

sententia, quam in hac disputatione suscepimus, omnes bonos semper beatos<br />

volumus esse". Il saggio infatti viene identificato con l'uomo virtuoso (ibidem :<br />

"omnibus enim virtutibus instructos et ornatos tum sapientes, tum viros bonos<br />

dicimus") e la tesi della felicità del saggio non è altro che una versione amplificata<br />

della tesi socratica secondo la quale solo l'uomo virtuoso può essere felice (v. Tusc.<br />

V, 35: cit. dal Gorgia 470 d-e di Platone: "Ita prorsus existimo, bonos beatos,<br />

improbos miseros").<br />

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